Sante e santi, quale senso?
Il 18 agosto si è fatta memoria
liturgica di sant’Alberto Hurtado, cileno (1901-1952), un santo gesuita moderno
della prima metà del Novecento che si può considerare uno dei frutti migliori
della Compagnia di Gesù per le varie dimensioni del suo operare. Bambini
poveri, formazione dei giovani, sociale, cultura e spiritualità. Per certi
versi anticipatore dell’impegno fede-giustizia secondo i decreti delle
Congregazioni Generali dagli anni sessanta in poi. Nell’occasione ho cercato
una risposta all’interrogativo “chi è il santo” o precisamente quali sono le
dinamiche della sua esistenza da un punto di vista fenomenologico.
In una prospettiva storica, lo
scacchiere dell’America Latina in riferimento non solo al Cile richiama la
susseguente stagione (seconda metà del Novecento) dei gesuiti martiri per la
difesa dei poveri di quel continente, da Rutilio Grande (la cui morte colpì
mons. Romero nel 1977) ai sei docenti gesuiti e due domestiche dell’Università Centroamericana
di San Salvador assassinati nel 1989 dagli squadroni della morte, che non vanno
per comodità archiviati o beatificati. Una storia di santità che continua non
solo per la Compagnia
di Gesù, termometro della sua fedeltà e vitalità al di là di proclamazioni
canoniche. Bisogna allargare lo sguardo alla storia della santità di un’epoca
per cogliere fioriture di testimoni in determinati contesti, e non essere preda
delle preoccupazioni dell’immediato.
Chi è allora il Santo che
onoriamo ed a cui guardiamo come pienezza di donazione, di spirito, da un punto
di vista fenomenologico? Bisogna cominciare a dire che appartiene all’esistenza
umana “surdeterminata” secondo un vocabolo sociologico. Si può ritenere, per
usare un linguaggio filosofico, che egli è abitato da un “Daimon” (guida divina,
secondo Socrate) che lo possiede, se si vuole da un fuoco, una passione,
un’energia, uno spirito - come nei Profeti (Isaia, 61, 1-3) - che irradia intorno
a sé. E’ un obbediente alla Parola, alla Voce interiore, alla luce che gli si
manifesta, un obbediente ad una chiamata interiore. Una dinamica di chiamata e risposta
in un’esistenza personale. Una energia che non trova ostacolo nel conduttore,
secondo la definizione della religione come energia che mi dette una guida
indiana tre decenni fa. Ne può derivare per tutti l’esigenza di essere fedeli a
se stessi nel senso indicato, alla propria vocazione, per irradiare l’energia
ricevuta, lo spirito che anima ogni uomo che viene in questo mondo, senza
troppi calcoli o il timore di perdere qualcosa.
Questa obbedienza ad una voce, ad
una luce, ad uno spirito, ad una energia (superiore), rompe sistemi cristallizzati
di valori, norme, istituzioni, e quindi il santo si può considerare un DEVIANTE
rispetto a norme e valori accreditati, a stili di vita consolidati, che secondo
il linguaggio hegeliano supera ed invera. Deviante rispetto alla mediocrità,
alla media dei modelli di comportamento, per una pienezza di vita, di umanità
salvata dagli egoismi e dalla paura di perdere qualcosa o di perdersi nella
fedeltà al “demone”. E’ da augurarsi qualche clown, folle in più per amore di
Dio e del prossimo, per superare la palude civile ed ecclesiastica.
L’ultima domanda non inutile
riguarda la santità laicale nella vita ordinaria, perché la liturgia cattolica
è per certi versi autoreferenziale e gerarchica, perche nelle liturgie i santi
sono ordinati come papi, vescovi, sacerdoti, religiosi, pastori e dottori della
chiesa, operatori di misericordia, sante vergini e così via. Ultimamente nella
chiesa del Gesù di Genova, sulla sinistra in un angolo ho notato una immagine
di Gianna Berreta Molla (1922-1962), pediatra, sposata e madre di tre figli, esposta
alla venerazione. Un piccolo posto in un angolo, quasi si avesse paura di
riconoscere che anche nel matrimonio si può vivere una vita cristiana in
pienezza. A mio parere si dovrebbe e potrebbe parlare di “giusti” e “giuste”
come Giuseppe e Anna, nei cammini e nelle traversie della vita. Si dovrebbe
riprendere il discorso abbandonato sulla santità laicale, dei Christifideles,
che è quello di umanizzare i diversi ambiti e le relazioni sociali, dalla vita
familiare, al lavoro, all’economia, alla sanità, alla politica, all’ambiente
per portare giustizia, equità, pace, amore e vita. Cioè il Regno di Dio di
giustizia e pace. Non sono mancati nei decenni del secondo dopoguerra anche nel
nostro paese figure esemplari nelle stesse istituzioni, De Gasperi, La Pira, Moro, Dossetti, il
giudice Livatino.
Nella recita delle Lodi, tra le
invocazioni viene proposta anche questa: “Dio
di misericordia, guidaci sulla via della santità, perché cerchiamo sempre ciò
che è vero. buono e giusto”. Di sante e santi, giuste e giusti, forse ce ne
sono più di quanto possiamo pensare. A gloria di Dio.
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