Caro De Magistris, che fare con le periferie?


Passata la festa, diceva il proverbio, “gabbato lu sant”. Che dopo l’euforia per la conferma come Sindaco di Napoli sarebbe – facendo scaramanzie - il popolo festante, alla cui fiducia rispondere rispetto alle varie forme di “disagio sociale”, ritornato alla ribalta dopo la falsa euforia renziana al governo. Disagio che pure esiste e persiste nella nostra città, e che hai avuto modo di conoscere negli incontri con la gente durante la campagna elettorale, come per esempio nei mercatini rionali anche a Scampia. Con un augurio sincero per l’assunzione di questa responsabilità civica da onorare, tenendo conto come già ho notato per il primo turno che anche nel secondo turno di ballottaggio la tua affermazione ha riguardato 8 Municipalità su 10, eccetto Chjaia-Posillipo e S.Pietro a Patierno. Non so se vieni considerato come una specie di Santo protettore, scacciando i falsi portatori di promesse. Vorrei in questa lettera riportare l’attenzione sulle forme di disagio sociale di alcune periferie cittadine, per alcune dirette esperienze che mi hanno fatto riflettere.

In primo luogo ho partecipato alla marcia popolare di solidarietà per ricordare il giovane Ciro Colonna, morto per errore in un agguato di camorra al “Lotto 0” di Ponticelli, all'interno di un circolo giovanile. Devo dir la verità, è impressionante lo skyline di questo quartiere con palazzoni più alti di quelli di Scampia, che come è stato rilevato sembrano grigi scatoloni l’uno sull’altro con tanti occhi e che da una parte e dall’altra del viale principale sono tante enclave popolari. Si affacciano le famiglie durante la marcia, preoccupate per questi episodi di violenza sotto casa. A parte il grande “Ospedale del mare” che s’impone come un gigantesco ragno, l’impressione è quella del deserto urbano che rinchiude le famiglie in casa, a parte qualche circolo per i giovani, centri scommesse e rari esercizi commerciali. Solo due linee bus percorrono il popoloso quartiere e lo connettono alla città. Senza connotazioni ideologiche, emerge dall'osservazione la strutturale dislocazione in periferie senza volto degli strati popolari paghi forse di avere “ a’ casa”, con cui fare i conti per politiche urbanistiche e sociali che vogliano ridare dignità ed identità agli abitanti, ed incentivare partecipazione e cittadinanza attiva.

In secondo luogo sono salito per la prima volta sul terrazzo del condominio in cui abito a Scampia, al 12° piano, per accompagnare una troupe di TV2000 per alcune riprese dall’alto con un piccolo drone. Sono rimasto letteralmente impressionato dalla visione della densità abitativa di palazzoni che costituivano una sorta di ovale, che richiamava un carciofo o una cipolla, autentici alveari umani. Una visione poco nota e ripresa da fotografi, ma che esprime una realtà che racchiude la vita di tante persone su un ristretto spazio, in cui con diverse forme di disagio ha luogo la riproduzione biologica, sociale, culturale e religiosa di individui e famiglie.

E’ chiaro da queste sensazioni ed osservazioni che mi si è manifestato il carattere “strutturale” della costruzione delle nuove periferie urbane, per ceti popolari o meno, frutto di un disegno per dislocare sul territorio i ceti sottoprivilegiati in rispettive aree sottoprivilegiate per abitazioni e servizi. Sul “che fare”, ritengo che si debba partire da una chiara coscienza di questa situazione da parte non solo degli abitanti delle periferie, per sviluppare una cittadinanza attiva e responsabile come nei Manifesti di idee e proposte elaborate dal Comitato politico-culturale “Scampia Felice”. Qualche idea innovativa in proposito si può trovare in giro, per esempio da Renzo Piano e da illustri urbanisti ed architetti locali, per “ricucire” le periferie con il centro e al loro interno.

Questo per ora, senza pretese.

Domenico Pizzuti

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