Miracoli crescono


Una mattina, dopo la celebrazione eucaristica, D. del vicino “campo nomadi” mi avvicina per dirmi che le figlie di una sua parente, Sabrina e Nina di 20 e 19 anni, nate in Italia e cittadine italiane, hanno bisogno del passaporto italiano perché vorrebbero viaggiare in cerca di lavoro e non avere la sorte di “sposare un ubriacone” (sic). Chiedono di essere accompagnate alla Caritas diocesana di Napoli per ottenere il pagamento delle spese per i passaporti. 

E’ una buona notizia che giovani donne Rom dopo due decenni vogliano abbandonare la vita precaria e senza prospettive del campo per trovare lavoro in Italia o all’estero, e volentieri mi presto ad accompagnarle. Sono due ragazze simili anche per età, e manifestano una certa dignità anche nel vestire - “portano i pantaloni” mi precisava D. Io le chiamavo “principesse” per il loro portamento: aspirano ad un avvenire migliore uscendo dalla vita del campo. E’ questa la vera alternativa alla cristallizzazione della situazione dei Rom serbi che abitano in quelle baracche da due o tre decenni. 

Qui non sono arrivate le strategie europee e nazionali di inclusione sociale per quanto riguarda in particolare l’abitare, offrendo una pluralità di soluzioni abitative alternative come nelle esperienze di altre regioni del nostro paese. Si deve denunciare che simili alternative recentemente non sono state offerte nemmeno a un migliaio di Rom romeni sgomberati da due campi del rione Gianturco, intervento della Magistratura napoletana ma anche indotto con varie pressioni dall’Assessorato al welfare (una nuova categoria: “sgomberi indotti”), a parte circa 200 soggetti sistemati in un nuovo campo recintato. 

Al contempo si devono segnalare due episodi spontanei di accoglienza e di integrazione sociale intorno alla chiesa S.Maria della Speranza, affidata alla Comunità dei Gesuiti. Nel recente pellegrinaggio a Roma ci hanno accompagnati due giovani donne Rom che in seguito a contatti spontanei negli ultimi mesi con i gesuiti e le volontarie per loro desiderio hanno voluto unirsi a noi con grande entusiasmo. La prima, C., l’avevamo incontrata per strada l’inverno scorso, proveniente dalla Germania, una quindicenne segaligna, piuttosto svagata ma espansiva, aveva fatto amicizia con diversi di noi finendo per chiamare "zio" p. Claudio, suor Giuliana "mamma", e il sottoscritto forse "nonno".

L’altra, S., ventenne in carne, volto coperto per metà da una ciocca di capelli biondi, nata nell'entroterra napoletano e poco comunicativa, si considera italiana a tutti gli effetti anche nel modo di presentarsi. Ha fatto numerose foto con lo smartphone alle basiliche e ai monumenti di Roma. Anch'esse più o meno intenzionalmente con questa partecipazione ad una iniziativa di festa hanno dimostrato di volersi integrare con l’ambiente circostante, che si è dimostrato accogliente, uscendo dall'enclave del campo. 

Sono episodi frutto di incontri nel tempo, senza pretese, a partire dalla strada, di ascolto, amicizia, accompagnamento per riconoscere umanità a queste persone che vivono in condizioni di disagio a poca distanza da noi nel “campo nomadi”. Parafrasando il titolo di un recente volume sulla religiosità giovanile, si può affermare che in questa interazione virtuosa “piccoli miracoli con i Rom crescono a Scampia”.

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