Epistola sull'empatia con i Rom


di Domenico Pizzuti -


Da diverso tempo ho avvertito da parte dei volontari impegnati a diverso titolo per i bisogni e diritti dei Rom una diffusa difficoltà di comprensione: riguarda la diversità delle famiglie Rom con cui abbiamo interazioni non solo assistenziali ma di ascolto ed incontro umano, specialmente donne e bambini. Nel nostro cammino di vita a Scampia sono “compagni di viaggio” con le loro difficili esperienze di vita e le attuali condizioni precarie, pur dopo due o tre decenni di permanenza sul territorio. Per evitare superficialità e presunzioni nel nostro aiutare dovremmo meglio aver presente la loro condizione di oppressione ed esclusione nei paesi di provenienza, l’emigrazione forzata in Italia e la particolare sistemazione nei cosiddetti “campi nomadi”. In Europa questo ci ha procurato il soprannome di “campland”, terra di baraccopoli legali o abusive in condizioni di ghettizzazione,  degrado e precarietà spesso ai margini degli abitati. E’ noto da parte di studiosi e direttive europee e nazionali che tale sistemazione va superata per promuovere un’autonomia abitativa di questi gruppi, con una pluralità di soluzioni che trova difficoltà di realizzazione specialmente da parte del Comune partenopeo. Ritardi culturali e resistenze amministrative e politiche. Non ottemperanza delle direttive europee in merito al diritto dei Rom (cfr Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti 2012-2020)

Senza voler dare lezioni a nessuno, nell'interazione con loro fondamentale è la classificazione esplicita o implicita che ne facciamo, cioè come li consideriamo e trattiamo a partire dalla nostra visione dell’uomo e del mondo. Poveri, bisognosi, cittadini stranieri, in molti casi apolidi, immigrati e forse rifugiati (come nel caso di Cupa Perillo) dalla dissoluzione della Jugoslavia. In ogni caso si tratta di UMANI, soggetti di diritti e doveri. Fa questione spesso la loro “alterità”, diversità di concezioni e stili di vita, che nel nostro ambiente li configurano come l’ALTRO per antonomasia, da riconoscere ed accogliere, ma anche come il “deviante” da regole sociali, quasi “fuorilegge” rispetto ai traffici più o meno legali che conducono. Al di là delle legittime diversità culturali delle etnie di provenienza, fa problema la non osservanza delle regole mainstream, riconosciute socialmente e spesso anche da noi inevase, la way of life dei paesi europei sviluppati vissuta all'italiana. 

Come ho già scritto in precedenza occorre elaborare le differenze culturali (concezioni, atteggiamenti, comportamenti, stili di vita) per una loro comprensione non acritica, che nello scambio può portare ad una reciproca comprensione e ad un empowerment (potenziamento) sul piano della crescita civile. Ritengo che occorra essere consapevoli della relatività delle nostre visioni e modi di vivere, come di quelle altrui, per superare pregiudizi, rigidità e malintese superiorità; relatività in riferimento a geografia, storia, cultura, tradizioni, esperienze di vita di un territorio, un popolo, una nazione, un’etnia. Le differenze culturali vanno comprese in riferimento alle condizioni sociali, con l’elaborazione delle differenze sociali. Lo status sociale dei nostri Rom li pone fuori della stratificazione sociale riconosciuta, fuori dalla scala sociale, per certi versi come paria invisibili. Infatti, nei campi ufficiali e non, come quelli di Scampia, qualche decina sono cittadini italiani, un gruppo consistente fruisce di permesso di soggiorno, altri hanno il passaporto del loro paese di origine, non pochi sono senza documenti e quindi di fatto “apolidi”. In ogni caso come umani sono  titolari di prestazioni, servizi, diritti riconosciuti dalle convenzioni internazionali, europee e nazionali secondo la nostra Costituzione.

Di conseguenza è sotto i nostri occhi una condizione di marginalità territoriale e sociale, di esclusione, di ghettizzazione specie nei campi abusivi che sono baraccopoli di fortuna in condizioni di degrado, precarietà e abbandono. Vi abita una popolazione con scarse risorse economiche e culturali per affrontare le alee della vita, che genera un'economia di sopravvivenza. Sono le donne ogni giorno - a caritare o raccogliere materiali di risulta - che portano il peso dell’economia familiare e dell’educazione dei figli. Gli uomini sono dediti a scambi e traffici più o meno legali e talora ad atti sanzionati dalle nostre leggi, che troviamo poi in carcere con i delinquenti nostrani, una condizione che segna pesantemente la vita delle famiglie. Questi atti certo non vanno giustificati per mancanza di alternative, perché non tutti delinquono nelle stesse condizioni, ma inquadrati in precarie condizioni sociali di privazione. A questo riguardo, mi veniva in mente un noto principio dell’Insegnamento sociale della Chiesa, nell'ambito della universale destinazione dei beni di madre terra e della produzione umana: in condizioni estreme di privazione e bisogno per sé e la propria famiglia ammette che si possa attingere a beni di proprietà altrui. Caso limite, perché i paesi dell’Europa occidentale, rispetto agli stessi USA, nel secondo dopoguerra si sono caratterizzati per un universale ed ampio welfare pubblico.

In ogni caso nelle diverse attività sociali pro Rom occorre distinguere la dimensione dei bisogni -  comuni agli esseri umani, i quali non intendono solo respirare ma aspirano a beni materiali e immateriali e ad una possibile felicità, secondo l’ideale delineato dal beato Paolo VI nella Populorum progressio del 1967 - da soddisfare con una illuminata azione assistenziale privata e pubblica per superare le condizioni di disagio. E la dimensione  propriamente politica da parte di movimenti, associazioni, Comitati di cittadini, per un riconoscimento dei diritti delle minoranze riconosciuti dalle
convenzioni internazionali, direttive europee e nazionali, che sono normative per l’azione pubblica e privata sotto il profilo dell’accesso all’abitazione, alla formazione e al lavoro, all’istruzione e alla sanità.

Oltre ad una maggiore conoscenza storica, antropologica, culturale, sociologica delle minoranze Rom, Sinti e Camminanti del nostro paese, al di là delle diverse ispirazioni di associazioni e movimenti, occorre da parte dei volontari una maggiore comprensione delle sofferenze di donne e bambini che a noi si rivolgono. Com-passione nel senso buddista delle sofferenze altrui, e compassione o carità cristiana cercando di mettersi al posto degli altri. Cioè EMPATIA, più cuore, perché sono convinto che in ultima analisi sia l’AMORE che fa conoscere e comprendere gli altri. A titolo di esempio, oltre a tanti atti di accoglienza e generosità nei confronti delle famiglie Rom albergate per mesi nell’Auditorium di Scampia, vorrei ricordare una madre presente all’ultima Preghiera di Taizé che faceva proprie nella preghiera “le preoccupazioni di queste madri Rom per il futuro dei propri figli”. Così sia. RESTIAMO UMANI.

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