AL DI LA’ DELLA CRONACA. LA DISTORSIONE DEL DISCORSO PUBBLICO
tratta da viveremeglio.org |
Ho letto
con interesse su La Repubblica del 21 giugno l’intervento del noto teologo laico Vito Mancuso “Un paese dove la virtù deve chiedere perdono”,
in riferimento ad episodi di corruzione (anche sessuale) nella città di Firenze
ma più diffusamente nel Paese, e al disinteresse e noia percepiti dall’Autore
in suoi discorsi sull’etica e relativi fondamenti nei comportamenti pubblici e privati. A sua discolpa, l’Autore riporta una frase di Shakespeare
nell’Amleto (3, 4): “Perdonatemi questa
predica di virtù, perché nella
rilassatezza di questi tempi bolsi la virtù deve chiedere perdono al vizio, sì,
deve inchinarsi a strisciare”. Posso solo aggiungere dal punto di vista di
analisi storico-sociologiche che la
trasgressione e il discredito dell’etica pubblica nel nostro paese sono stati attribuiti al mancato radicamento di
una “religione civile”, come invece è
avvenuto in società e democrazie anglosassoni.
Prendo
spunto da questo illuminato intervento per proporre alcune riflessioni su osservabili
e preoccupanti distorsioni - che
configurano autentici capovolgimenti di
detti e fatti - nei discorsi, specialmente dell’arena pubblica, che finiscono
per modellare atteggiamenti e
comportamenti di attori politici e non, i quali subiamo da decenni da tutti gli schermi TV
e da tutte le piazze, senza escludere lo
stesso Grillo parlante. L’inversione nei pubblici discorsi e proclami è tale
per cui la verità diventa menzogna e la menzogna patentemente verità proclamata, gridata e difesa, certo per posizioni di parte in difesa del
capo tribù. Negli ultimi anni, in particolare, ho avuto modo di osservare la “conversione” di atteggiamenti specialmente nelle trasmissioni
televisive da parte dell’on. Angelino
Alfano con posture populiste, gote gonfiate, asserzioni gridate e senza
repliche anche da vice-premier del tranquillo Letta. Fanno male talora assurde difese e argomentazioni ripetute da parte delle “amazzoni” del Cavaliere
(Santachè, Gelmini, Carfagna), senza
sfumature e originalità alcuna e con
toni aggressivi per mostrarsi più realiste del re. Si dirà, fanno parte della
batteria o meglio della corte del capo,
che le ha “elette” o “eletti” nel senso proprio della parola e le/li ha installate/i a suo tempo sui dodici troni o ministeri del governo
italiano che dir si voglia. (Grillo senza alcun ritegno direbbe che prima erano niente, come per la senatrice
dissidente, perché eletta dai
misteri della rete).
Senza far uso inappropriato di categorie antropologiche, si può ritenere che
l’uso costante di queste inversioni nel discorso pubblico modelli comportamenti
pubblici e forse anche privati da
parte dei corifei del gran Capo. Chi è
menzognero in pubblico, cioè sulla scena, è probabile che sarà menzognero anche
nella vita privata, fuori scena. E’
altrettanto preoccupante che simili comportamenti vengano tranquillamente
ingoiati da milioni di cittadini, senza spirito critico, per convenienze varie, e avvalorati in occasione del voto. Nei
decenni del dopoguerra abbiamo conosciuto la “doppiezza” di Togliatti, il
cinismo di Andreotti, le giustificazioni delle corruzioni partitiche da
parte di Craxi, ma in questo caso è l’inversione delle
verità elevata a sistema, e gli stessi “processi” della Magistratura diventano persecuzioni politiche anche se le
corti sono costituite da altrettante donne che si può ritenere agiscano in punta di diritto.
Tale
fenomenologia si iscrive chiaramente nella costituzione e costruzione di un
partito personale, nell’appello di stampo populistico, nella proprietà o
gestione di mezzi di comunicazione di massa, nella capacità comunicativa del
leader, in fondo nel condizionamento di un potere personale non derivante in
primo luogo da legittimazione politica, e nella costruzione del consenso. Secondo
il sociologo ispano-americano Castells nel suo recente volume “Comunicazione e potere” (2009), nella società in rete del XXI secolo il potere si
fonda sul controllo della comunicazione e il contro-potere sulla capacità di
opporsi a questo controllo, influenzando l’opinione pubblica per tendere al
cambiamento sociale. Sulla base delle reti digitali di comunicazione, l'Autore
ipotizza che “la forma più fondamentale
di potere consiste nell’abilità di plasmare la mente umana”. E la comunicazione riveste un posto centrale
nella lotta per la plasmazione della mente umana da parte delle agenzie di
potere e contro-potere per la costruzione del consenso.
Senza
volersi riferire al discorso dell’etica habermasiana della comunicazione, che
sarebbe troppo per la cosiddetta anomalia italiana, responsabilmente si vuol mettere in evidenza nel discorso pubblico
nostrano lo stravolgimento, il capovolgimento nell’etica del discorso, nell’etica
della comunicazione per cui il re è vestito quando è nudo, è giusto quando è
ingiusto secondo tutte le fasi del procedimento giudiziario. Non è solo una distorsione delle “verità”, ma
un’autentica corruzione del tessuto comunicativo e degli stessi “discorrenti” per la capacità del potere della comunicazione
di modellare le menti umane, soggiogate nel nostro caso alle fortune del capo.
Bisogna
liberarsi da questa corruziome, da questo avvelenamento dei discorsi e delle
menti, per restituire il discorso al libero confronto di opinioni e alla formazione di convincimenti nella pubblica agorà. Si può invocare responsabilmente per la salute della comunicazione e democrazia
una PULIZIA DELLE MENTI, nel libero
gioco delle agenzie di comunicazione, in particolare di quelle di contro-potere per un cambiamento
primariamente di discorso.
Caro Domenico. Il concetto del ribaltimento dei valori adottato dal cavaliere è davvero un argomento forte. Perché nessuno ne parla in questi termini, non dico in tv ma almeno sui giornali?
RispondiEliminaSarebbe bello sentire qualcuno che per una volta dica cose evidenti e ovvie come questa. Sembra oggi che la vera rivelazione debba passare per la riappropriazione delle logiche semplici. Il dare importanza a ciò che è così scontato e banale che non sembra più meritare la nostra attenzione.
Saluti.
Ben Apfel