Confronto a Aldo Moro oggi solo nani in politica

di Domenico Pizzuti -


In questa agitata, imbrogliata stagione politica post-elettorale, con la difficoltà di formare un governo ed una maggioranza certa, non è sempre facile comprendere le dinamiche dei tre blocchi emersi dal voto. L’attività politica appartiene a tutti i cittadini anche se alcuni sono eletti come rappresentanti nelle sedi parlamentari. Allora cerchiamo di capirci qualcosa.

Primo. Nell’arena mediatica tengono banco i leader quasi vincitori (Di Maio e Salvini) ed i quasi perdenti (Renzi e Martina) con i loro quotidiani interventi a toni alti per la risoluzione della crisi politica. Sulla centralità dei leader di movimenti e partiti - di cui alcuni definiti con troppa facilità  “populisti”, per la trasformazione del “popolo” in “massa” secondo lo studioso Asor Rosa - con la loro asserita rappresentanza di territori, interessi, aspettative di strati sociali, una prima annotazione sociologica va fatta sui radicalismi politico-religiosi come trampolino per coloro che vogliono prendere il potere ed eliminarne i rivali. Emblematico il caso del fiorentino Renzi nella sua ascesa nel PD e nelle dimissioni puramente formali dal partito dopo la sconfitta del 4 marzo. E’ chiaro che portano con sé il bottino di voti conquistati con una legge - il Rosatellum - che di fatto ha consentito ai capi-partito di far eleggere specie nella parte proporzionale le schiere di fedelissimi. In questo modo i partiti diventano proprietà privata di chi ha nominato e fatto eleggere i deputati. Un aspetto strutturale delle difficoltà post elettorali va ascritto proprio alla conformazione di questa legge, con il dubbio che sia stata orchestrata per eliminare qualche concorrente.

Secondo. Nell’arena mediatica fa specie il linguaggio da campagna elettorale permanente, immediato, diretto ai cittadini, muscolare per non dire ruspante del Salvini lombardo (in inglese gladiatorial in riferimento a scontri nei talkshow televisivi), assertivo e facilmente risolutivo dei problemi più avvertiti dai cittadini. Un linguaggio debitore di una mentalità diffusa focalizzata sul presente e sull’immagine che passa nel giro di pochi secondi, un discorso cioè di breve gittata. Trova forse riscontro nel linguaggio dei discorsi da bar lombardo-veneti del dopolavoro, ma in verità ha presa sul piano della lotta politica per l’assunzione, interpretazione e rappresentanza di paure, insicurezze, aspettative; la base del consenso elettorale al leader ed al suo partito che dimostra ostentatamente sicurezza e capacità di risolvere immediatamente i problemi di cui ha la ricetta a buon mercato. Si dà fiducia ad elettori e cittadini in piazza e davanti allo schermo TV.

Terzo. Bisogna prestare attenzione anche al “linguaggio” dei cittadini elettori: una buona metà di essi ha manifestato votando una chiara volontà di cambiamento e una sfiducia nell'establishment, cioè nelle classi dirigenti politiche che hanno governato gli ultimi decenni, come ha rilevato lo stesso ex Presidente della Repubblica nel breve discorso di apertura  della legislatura. Fa male sentire da alcuni vecchi tromboni definire con supponenza puerili ed immaturi quei rappresentanti politici con forti adesioni elettorali. Mi auguro che queste facili definizioni non riguardino i bisogni, le attese,
le speranze di tanti elettori del Paese, giovani e meno giovani, singoli e famiglie, che vanno riconosciuti nel desiderio di efficaci politiche dei loro rappresentanti in una visione di bene comune e di solidarietà sociale.
Alcune semplificazioni e manipolazioni della campagna elettorale per intercettare consenso mi portano ad intravedere una “deculturazione” di strati di popolazione per mancanza di acculturazione critica e di seria formazione civica e politica, che spetterebbe anche ai partiti fornire nel dirsi veramente classi dirigenti. Ha contribuito una informazione-trattenimento dei media con la spettacolarizzazione della politica ridotta a scontri “gladiatoriali”.

Non sempre nei programmi dei partiti e nella loro diffusione mediatica si avverte la percezione della complessità del gioco politico e della stessa società, non solo nazionale. Se si vogliono alzare muri che isolano nelle interrelazioni ed aggregazioni tra stati e popoli, aldilà di ogni giudizio e valutazione dei fenomeni globali, da una parte non si può ignorare il fenomeno della globalizzazione economico-finanziaria, che va certo governata. Né il peso delle grandi aggregazioni economico-politiche e di grandi nazioni a livello planetario (USA, Cina, Russia, India, Brasile e così via). Di qui l’inconcludenza del cosiddetto “sovranismo” per una difesa degli interessi e dei confini nazionali da supposte invasioni di rifugiati e migranti - che può interpretarsi come richiesta di protezione dalle vulnerabilità fisiche, economiche ed identitarie da parte cittadini. Alla lunga non paga nei rapporti sullo scacchiere internazionale.

Questa politica provinciale e litigiosa senza visioni del futuro non lascia tranquilli. La memoria della testimonianza di Aldo Moro - di cui ieri 9 maggio ricorreva l’anniversario del sacrificio - getta una luce rivelatrice sulla reale statura politica (si fa per dire!) di nani e nanerottoli, di vecchi politici presuntuosi e ben poco "innocenti".

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