ALLENARSI ALLA TENEREZZA

Nell’annuncio dell’assedio e distruzione di Gerusalemme da parte del profeta Ezechiele (dicembre 589/gennaio 588), con un'azione simbolica che indica le prove personali del profeta, si legge: "Figlio dell’uomo, ecco, io ti tolgo colei che è la delizia dei tuoi occhi". E’ un termine di tenerezza che indica la sposa del profeta. Ma Dio permettendo, la stessa espressione vale anche da parte della sposa nei confronti dello sposo.
Mi è capitato di sentire da una giovane madre Rom nel campo non autorizzato di Scampia: "Vedi quanto è bello il mio uomo!" E’ la reciprocità della tenerezza in tutte le sue dimensioni che deve pervadere le relazioni amorose e coniugali, ma non solo...
Non si tratta di gesti insulsi o formali in determinate scadenze, o aventi carattere riparatorio momentaneo, ma è costitutivo dell’amore che vuol dire “prendersi cura di una persona, dei suoi bisogni ed attese”, perché ci sta a cuore e costituisce un’unità e totalità non solo pattizia nelle relazioni coniugali.
Perciò è qualcosa di profondo a cui bisogna allenarsi e vivere, è espressione “sacramentale” con diverse sfumature secondo gli ambienti e le culture. Travalica anche le relazioni regolari: una signora che aveva incrociato nella sua vita un seminarista poi sacerdote, che per la pressione dell’ambiente di provenienza non si sentiva di abbandonare l’abito, era solita poi di tanto in tanto andare a visitare quest’uomo che viveva fuori regione, e oltre il resto portargli anche un regalino.
Tenerezza irregolare, o solo tenerezza? Dio veda!

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