JULIA, NIGERIANA. CHE VITA E’ MAI QUESTA, IN ITALIA?

Ho accompagnato due volte la scorsa settimana Julia, residente a Castel Volturno, a Caserta per una questione legata al permesso di soggiorno scaduto da diversi anni e di cui ha bisogno per cure mediche ed eventualmente per rientrare in Nigeria. Ha 47 anni e si presenta dignitosamente. Nel tragitto dalla stazione all’Ufficio Immigrati, lungo la via dello shopping casertano, mi racconta la sua storia in maniera incompleta ma esaustiva per capire la sua condizione.
Si trova da 17 anni in Italia, attualmente vive a Castel Volturno e dorme a terra presso una famiglia di connazionali. Qualche anno fa è morto il marito in patria, una perdita che l’ha sconvolta, non sapeva a chi rivolgersi perché - mi ripete diverse volte - non ha trovato aiuto da nessuna parte religiosa o civile. Alcuni mesi fa è morta anche la madre, che si prendeva cura dei suoi figli, e quindi pensava di tornare in patria. Aveva bisogno del rinnovo del permesso di soggiorno anche per il  riconoscimento di invalidità civile per le malattie di cui soffre.
All’Ufficio Immigrati di Caserta, poiché non ha avuto alcuna risposta alla domanda di rinnovo del permesso di soggiorno inoltrata circa una quindicina di anni fa, senza mezzi termini l’addetto fa presente che non c’è alcun bisogno del permesso di soggiorno per rientrare in Nigeria via area, altrimenti rischia di essere rinviata di forza… A questa risposta reagisco animatamente ma senza voler colpevolizzarla di avermi fatto fare due viaggi invano.
La cara Julia incomincia a piangere perché non ha casa, non ha lavoro, è malata e ha bisogno di cure, che da 17 anni è in Italia: CHE VITA E’ MAI QUESTA! Finora non ha trovato aiuto da nessuna parte, e risuona diverse volte l’espressione PER UMANITA’. Vuole inoltrare domanda di permesso di soggiorno tramite la Caritas per motivi umanitari. Chiedo sinceramente scusa se l’ho addolorata, disponibile ad ogni aiuto utile per i suoi bisogni. Ma confesso sinceramente che non ho capito bene cosa realmente volesse non solo per difficoltà di linguaggio.

Due riflessioni: la prima riguarda l’indifferenza circostante che ha sperimentato in questi anni per sovvenire ai suoi bisogni, anche da parte dei connazionali. Alla luce della categoria sociologica “indifferenza civile”  per denotare atteggiamenti di indifferenza “civile” nei confronti di estranei per strada o in un treno, nel caso di Julia e di tanti immigrati si tratta di INDIFFERENZA INCIVILE o INUMANA. Non basta il soccorso caritatevole personale ma si richiedono risposte organizzate o meglio riconoscimento di diritti ed opportunità dalla comunità ospitante secundum legem.
La seconda riguarda l’opportunità o meno di scrivere al Ministro della Cooperazione Internazionale Prof. Andrea Riccardi per far presente questi casi e chiarire la strategia attuale di inclusione sociale di nomadi, rom, sinti, ecc.
O forse una lettera, come nell’Apocalisse, deve essere indirizzata alle diverse comunità cristiane del territorio italiano per sollecitare l’abbandono dell’“indifferenza incivile” e dare concretezza: alla comune umanità con Nomadi, Rom, Rifugiati politici, homeless, barboni e via dicendo. Per me questa è una strada di AUTENTICA CONVERSIONE negli incontri della vita quotidiana.
Non è mai troppo tardi!

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