INVISIBILI DIETRO LE MURA. IO, ANCORA TRA I ROM A NAPOLI
tratta da ilculturista.it |
Il varco di entrata è annunciato da un
“montone” di immondizie sulla destra e ci introduce in un mondo pullulante di
esseri umani, bambini che giocano all’aperto, donne che fanno il bucato in
grandi bagnarole, madri che danno da mangiare ai piccoli, uomini che vagano con neonati in braccio. Tutti stanno all’aperto, non solo per il mite
pomeriggio invernale, ma perché si tratta di “baracchine” di legno messe su
alla buona e accastate l’una sull’altra in uno spazio ristretto dove dormono
insieme interi gruppi familiari.
E’ un
luogo “crowded”, o se si vuole un "presepe vivente" non però dietro una parete di vetro
in un museo napoletano, dove gira con fatica la ruota della vita di questa
comunità di romeni arrivati in gran parte da Calarasi negli ultimi
sette anni, e approdati qui per conoscenza di qualche parente già
residente a Napoli.
Ci viene riferito che abiterebbero il campo circa duecento famiglie, e tenuto conto della
prolificità è presto fatto il conto, in attesa di ulteriori accurate verifiche.
Manca l’acqua,
che viene presa in grandi bidoni di
plastica a due chilometri di distanza (rappresentanti della comunità avevano chiesto alla Municipalità una
fontanella da una condotta esterna, poi scoppiata, ma la richiesta non ha avuto
seguito), per l’ elettricità si servono di generatori, i bagni di fortuna si
contano sulle dita, e non c’è traccia di
fognature di sorta.
Il dato positivo è
che i genitori portano a scuola i figli con i loro automezzi, perché un pulmino
del Comune da mesi non viene più. In
caso di malattie dei bambini si recano all’ospedale per l'infanzia Santobono al Vomero.
Si tratta di famiglie con anche sette e più figli; i bambini sembrano
giocare abbastanza sereni e apprezzare la scuola con la refezione. Di qui file di panni multicolori ad asciugare
a lato delle baracche. Sotto il tetto di una baracca una bionda
quindicenne dal colorito chiaro, che risulta incinta, è impegnata a strizzar panni lavati. Se questa è
vita!
Esiste nel bene e nel male una
qualche organizzazione interna, perché abbiamo visto chi arrostiva carne di
maiale al banco, chi vendeva felpe, altri generi alimentari e così via. Sembra anche che le famiglie paghino un pizzo a qualche connazionale per
l’occupazione di suolo con la loro baracca.
In queste condizioni di
isolamento e abbandono, da un primo sondaggio sui soggetti cui si rivolge la fiducia nei momenti di bisogno, in
primo luogo vengono segnalati parenti e
conoscenti, che verificano la nozione di “capitale sociale”, bonding, costituito da legami forti tra
le persone che appartengono a una stessa comunità. "Questo genere di
relazione ha un ruolo rilevante nel
miglioramento del benessere dei segmenti più poveri della popolazione, poiché
promuove meccanismi di assistenza tra parenti, amici e vicini di casa"
(F. Sabatini, Il concetto di capitale sociale nelle scienze sociali in Studi e Note
di Economia, 2/2004).
La Caritas diocesana di
Napoli, dopo questa prima visita, intende proseguire la mappatura del campo
attraverso una apposita scheda per acquisire i dati demografici, condizioni e
bisogni delle famiglie cui sovvenire e progetti migratori. In questa campagna
elettorale seguita con poco entusiasmo,
queste situazioni che toccano l’esistenza e la condizione di cittadini comunitari interrogano le istituzioni con i loro servizi da garantire
universalmente (dall’acqua - pubblica o meno - all’elettricità, alle fognature, a sistemazioni abitative
civili...) e i cittadini, singoli o associati, in nome di una comune umanità e cittadinanza universale. Risuona il giudizio evangelico di straordinaria
incisività: "Andate via da me, […]
perchè ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi
avete dato da bere [acqua pubblica o meno]; ero forestiero e non mi avete
ospitato nella vostra casa; ero nudo e
non mi avete dato dei vestiti; ero malato ed in prigione e non siete venuti da
me" (Mt 25, 41-43).
Il presidente
Monti e il Ministro Andrea Riccardi con il seguito di professionisti cosiddetti
“cattolici”, vengano in via delle Brecce
n. 119 e non si rechino solo al “Vulcano buono” o in curia. S.V.P.
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