LE REPUBBLICHE DEI ROM

tratta da amnesty.ch
Venerdì 1 marzo il gruppo formato da un rappresentante della Caritas di Napoli, due architetti e il sottoscritto per il Comitato Campano con i Rom, che sta monitorando le condizioni e i bisogni dei campi rom dell'area napoletana, ha visitato un campo molto recente, dirimpettaio di quello al n.119 di via delle Breccie, delimitato anch'esso da una bianca muraglia.

Il cancello immette in un ampio spazio di terreno incolto, con in mezzo un'ampia pozza di acqua piovana e a destra un basso fabbricato di locali abitati da circa venti famiglie di origine romena, sprovviste di acqua e servizi igienici. Una giovane rom in buon italiano ci viene incontro e fa presente che le famiglie sono state immesse in questi locali da funzionari del Comune di Napoli, che hanno anche permesso la sistemazione di baracche dove vivono in condizioni precarie (a dire di altri abitanti) duecento persone, o meglio cinquanta nuclei familiari con donne e numerosi bambini. Questo insediamento risale a circa un anno fa, e ha interessato solo famiglie romene provenienti anche dal campo sgomberato della Marinella, spedite qui dal Comune per una prima sistemazione.


L'impressione che si ricava dalla visita è quella dell'abbandono da parte delle istituzioni locali ma anche delle associazioni e delle comunità cristiane, e della auto-organizzazione per la pura sopravivvenza. Attingono l'acqua per lavare da una pozza alimentata da un fiume sotterraneo (il Sebeto), e quella per bere da fontane fuori dal campo, con grosse bottiglie di plastica trainate da ragazze e giovani donne. Per la prima volta, notiamo un grosso generatore di elettricità le cui spese sono distribuite tra gli abitanti. Gli uomini sono meno disponibili a comunicare, ma scorgiamo camioncini per la raccolta del ferro e altri materiali da vendere per un minimo reddito; alcuni ci assicurano che questi autoveicoli sono a posto con tutti i documenti per evitare noie quando sono fermati dalla polizia. Accompagnano così i figli a scuola, perchè l'autobus comunale non è si è fatto più vedere.


Si nota un certo attivismo da parte delle donne che puliscono gli ambienti di vita, lavano ed espongono il bucato, raccolgono l'acqua e la portano alle loro "baracchine" messe su alla meglio, solo per riposare. Perciò adulti e bambini vivono all'aperto, alcune bambine giocano a saltare la corda. Durante la visita diverse donne fanno presente le loro malattie e la non conoscenza di punti di riferimento sanitario per malanni che quindi risultano trascinati nel tempo.

Niente informazioni in questo abbandono da parte della Municipalità e dell'Amministrazione comunale, assenza di associazioni per sopperire a bisogni primari e al riconoscimento dei diritti di queste popolazioni sanciti da normative internazionali, europee e nazionali. Manca a livello locale un' impostazione di interventi integrati da parte del pubblico e del privato per i servizi essenziali, casa, istruzione, sanità, formazione professionale dei giovani, per non parlare della loro lenta regolarizzazione. Cioè policies per l'accoglienza e l'integrazione di questa gente secondo canoni di civiltà e non di assistenza.


Un depliant a cura della Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme illustra un progetto dal titolo "Una città senza mura. I giovani gagé e rom corresponsabili della città futura", con il sostegno della Fondazione Con il Sud, che prevede una serie di interventi per costruire percorsi di cittadinanza, promuovere occupazione e formazione, scolpire visioni future, creare di senso di comunità, per contribuire ad una maggiore coesione e inclusione sociale degli abitanti di Lamezia Terme, compresa la popolazione rom. Centinaia di persone di etnia rom, zingari italianizzati come nel nostro caso, sono ghettizzati in una baraccopoli cinta da una muraglia che la mantiene attivamente e simbolicamente separata dal resto degli altri cittadini.
Si possono costruire città senza mura isolanti umani gagè e rom.

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