CONCILIO VATICANO II, I 50 ANNI A SCAMPIA

tratta da quattroparole.com
Anche a Scampia a 50 anni dal Concilio Vaticano II,  per iniziativa  di comunità cristiane, gruppi ecclesiali, associazioni e la rivista  Il Tetto, un'inedita assemblea è convocata per sabato 11 maggio nella Rettoria Santa Maria della Speranza a riflettere sul tema “Una speranza incompiuta che ci interroga”.
Le relazioni sono affidate a Giovanni Franzoni (padre conciliare), Assunta Pavanello (già madre generale delle suore orsoline) e a Sergio Tanzarella (storico della Chiesa).

Un evento che fa riflettere sulla ricezione dell’insegnamento del Concilio nella vita cristiana della popolazione non solo di questo quartiere, e che si connette ad una crescita culturale o meno dei vari segmenti sociali nel corso di un cinquantennio, in consonanza con tendenze culturali e sociali più generali nel Paese. Ha un riflesso più generale nella vita, nelle pratiche e nelle relazioni sociali di un aggregato umano nel senso di un’apertura o chiusura a un cambiamento anche religioso e dell’inclusione o esclusione sociale e culturale. Si ha la sensazione che in questo cinquantennio non ci sia stata una diffusa “rivoluzione culturale” a Scampia, ma piuttosto una colonizzazione dei ceti medio-bassi da parte dei mezzi di comunicazione di massa e delle istanze consumistiche.

Questo quartiere della città napoletana presenta una realtà sociale, anche  religiosa, stratificata sotto diverse dimensioni (età, genere, gruppo sociale, livello di istruzione e cultura), che induce a riflettere sulle responsabilità dell’attuazione della speranza di cambiamento culturale e religioso innestata dal Concilio: sia da parte di una élite culturale e religiosa in consonanza con lo spirito del Vaticano II; sia da parte degli operatori religiosi delle comunità cristiane locali nella gestione dell’impresa burocratizzata di salvezza - secondo la definizione di Max Weber - della tipica autorità religiosa: il “sacerdote”.
Sotto questo profilo, nella diversità della ricezione del Concilio Vaticano II, nessuno si può considerare  “innocente”  se ci si chiude o  in “ecclesiole” securizzanti o in “ecclesie” escludenti  per presunte invasioni di campo, e non si attivano nel dialogo vasi comunicanti della preziosità di un  vento di vita e speranza. In una fedeltà sostanziale alla Chiesa, bisogna ribadire che da un punto di vista orientativo se non normativo non c’è niente di più “ufficiale” per la vita della Chiesa della legacy di un Concilio come il Vaticano II, frutto di esperienze ed elaborazioni teologiche di comunità cristiane e istituzioni culturali della Chiesa nella sua “cattolicità” nel mondo, sanzionate in costituzioni e decreti da leggere e vivere.

Per comprendere ritardi, lentezze, intralci nell’attuazione del Concilio, non solo nella vita delle comunità cristiane, a nostro avviso non bisogna disattendere il cosiddetto “rumore religioso di fondo” costituito  dall’appartenenza cattolica parrocchiale e dall'immaginario di un mondo religioso “incantato”, da parte di ceti culturalmente meno privilegiati. Nello stesso tempo si rilevano la presenza sul territorio di cinque dei preti di frontiera raccontati da Ilaria Urbani nel volume La buona novella. Storie di preti di frontiera, e tendenze alla  riclericalizzazione” come nel resto della Chiesa italiana, fatto che ha radici in una socializzazione religiosa degli anziani centralizzata sulla figura salvifica del “sacerdote”.

In conclusione, senza semplificazioni dell’insegnamento conciliare o pretese di interpretazioni autentiche, anche per esperienze personali, riteniamo che da un punto di vista non solo religioso occorra rivitalizzare la centralità della categoria di “popolo di Dio” nella vita delle comunità cristiane, con tutti i suoi ministeri e carismi, in un affratellamento evangelico senza superiorità, per una crescita comune. Da vivere in un accompagnamento reciproco di fedeli e ministri nella vita su questo pianeta, con uno sguardo all’“Oltre” o se si vuole al “mistero”, che interpella anche oggi.

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