VOCI DALL'EST

tratta da vittorini.net
Durante gli Esercizi spirituali la scorsa settimana due madri rom, che ho aiutato nel corso degli anni in Italia e nei paesi di provenienza, mi hanno telefonato per richieste di aiuto da due diversi Paesi dell’Est europeo. Mi ha colpito la somiglianza del loro linguaggio, o meglio delle situazioni - che pur dovrei conoscere - da cui proviene la richiesta di aiuto. Sia R. (in Serbia con quattro figli a carico e uno in arrivo) sia C. (in Moldavia con quattro figli), in primo luogo mi hanno esibito le loro precarie condizioni di salute: la prima per una difficile quinta gravidanza in cui il concepito manca di acqua e via dicendo, e che ha bisogno di ricovero in un ospedale dove tutto si paga, al contrario dell'Italia; la seconda per malattia al fegato, avendo scoperto i medici dopo diversi esami la presenza di calcoli da eliminare, e le medicine - mi dice - si pagano. Soprattutto hanno adoperato una stessa espressione per manifestare la loro misera complessiva condizione di vita: R. “Mi vuoi far morire qui” inteso se non mi aiuti, C. “Stiamo morendo qui, in questo paese”.

Queste invocazioni di aiuto mettono in evidenza in primo luogo come alla povertà economica si unisca spesso la fragilità della salute fisica e/o mentale, sopportate e affiancate da un povero welfare sanitario nei paesi attuali di residenza. In secondo luogo, al di là della “tara” (o riserve) che sempre bisogna fare di queste richieste, colpisce il riferimento ripetuto alla “morte” non solo per commuovermi ma per esprimere difficili e tristi condizioni di vita, o meglio di non vita. Al di là di striscianti o meno discriminazioni in diversi paesi dell’Est europeo nei confronti di zingari e simili, specialmente in piccoli paesi agricoli o di montagna, scarse  sono le opportunità lavorative e -  per conoscenza delle situazioni familiari -  i loro mariti non hanno acquisito nel tempo vere e proprie abilità lavorative (skills) da offrire nel mercato del lavoro locale, nazionale e internazionale. E le donne illetterate devono sopperire per provvedere al mantenimento e alla cura della famiglia.

Senza pretendere di risolvere le loro situazioni, mi onoro di essere loro vicino con l’ascolto (telefonico) e la comprensione per le loro malattie e difficoltà familiari (lo definisco “accompagnamento umano”), e  all’occasione, come il samaritano della parabola, tirando fuori qualche denaro per i loro bisogni.

DIO LE AIUTI e noi con Lui.

Commenti

Più letti