CONTROCORRENTE...CHI?

tratta da unive.it
Domenica nel corso dell’omelia una giovane signora con molta serietà mi interrompe per chiedermi: “Cosa vuol dire papa Francesco quando invita ripetutamente ad andare controcorrente?”. Sul momento  rispondo: “Non sono un interprete di papa Francesco, scrivetegli che vi risponderà”. Rimango alquanto impappinato nel dare una risposta; come seguace di Sant'Ignazio dovrei riferirmi alla rincorsa a possedere e quindi alla pratica di una vera povertà, alla superbia ed arroganza dei potenti di questo mondo e quindi alla pratica di una sincera umiltà. Il capannello di fedeli che si forma intorno a questo interrogativo dà diverse risposte sapienti nel senso della sobrietà di vita, ma anche dell’agire contro la divisione sociale che si manifesta anche a Scampia. In sacrestia un amico elettricista mi dice: “Andare controcorrente significa andare contro questo mondo così com’è”. E’ la risposta giusta di chi si rende conto delle storture, ingiustizie, iniquità della società in grande e in piccolo, e contro cui occorre lottare.


Al di là di tutti i nostri elaborati discorsi è da apprezzare la capacità di papa Francesco di far riflettere con  simili affermazioni per una riforma della Chiesa e della società. Un amico che guarda con sconforto alla realtà socio-politica e religiosa nostrana osserva spesso: "L’unica novità all’orizzonte è papa Francesco!"
La domenica precedente la prima lettura della Messa proponeva la persecuzione del profeta Geremia con espressioni che sanno di attualità: In quei giorni, i capi dissero al re: "Si metta a morte quest'uomo, perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, perché quest'uomo non cerca il benessere del popolo ma il male" (Ger 38, 4-6). E’ noto che il profeta è un tipo di operatore religioso come il mago e il sacerdote, con una particolare missione di portatore di una parola ricevuta che può non piacere. Può andare contro, come nel caso di Geremia, a comportamenti e ad attese dei dominanti e delle loro forze armate, ma anche del popolo che verrebbe scoraggiato.

La riflessione che ho ritenuto di proporre riguardava il carattere profetico che non può essere attribuito o delegato – a torto o a ragione – all’uno o all’altro nella Chiesa e nella società, ma riguarda le stesse comunità di fedeli nell’osservazione, discernimento, elaborazione e presa di parola riguardo ai problemi dell’ambiente circostante locale e sovra-locale. Ciò richiede che le comunità cristiane non solo siano abituate alla partecipazione alla vita della Chiesa ma alla riflessione alla luce della Parola e di insegnamenti etico-sociali per una elaborazione, una presa di parola pubblica, superando così una diffusa afasia nella Chiesa e nella società su problemi che interrogano cittadini e fedeli. Cito soltanto ad esempio la produzione e vendita di armi che alimentano i devastanti conflitti nell’area medio-orientale.

Lo stesso discorso può valere anche per il servizio della carità nella più ampia comprensione, che non può essere delegato al sacerdote o ad un gruppo, specie l’attenzione agli ultimi ed emarginati che pure affluiscono alle porte delle nostre chiese per una loro accoglienza e riconoscimento sociale e civile. Che ci stanno a fare i diaconi se non per il servizio della carità? Riflettendo ulteriormente mi son detto: “Vuoi vedere che il mutismo e il disimpegno dei fedeli dipende dal fatto che come operatori religiosi – anche per i doni e la formazione ricevuta – spesso concentriamo il servizio della parola e della carità nelle nostre bocche e mani? Forse dobbiamo aver maggior fiducia nel popolo di Dio e nella sua azione gratuita ed elevante in ciascuno, di cui siamo meramente “servitorelli” secondo la contemplazione ignaziana della Natività.

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