GIOVANI E FUTURO DELLA CHIESA. A DOMANDA RISPONDO
tratta da cappuccinesantocanale.it |
Non sono un esperto di pastorale giovanile - di cui sento tanto parlare anche nella mia comunità religiosa -, ma intuisco le difficoltà non solo di linguaggio da parte delle comunità
cristiane nei confronti delle giovani
generazioni. Un amico mi domanda cosa penso delle Giornate Mondiali della Gioventù e del loro effetto sulla quotidianità parrocchiale, e quale pastorale giovanile ritengo necessaria per il futuro della Chiesa. Si tratta di problemi di non poco conto che riguardano
strutture, prassi e linguaggi per cui non
ho soluzioni facili, ma solo qualche
elemento esplicativo.
L’evento delle
GMG mobilita innanzitutto gruppi di giovani nelle parrocchie stesse e nei movimenti, perché si tratta di un evento aggregativo “straordinario” che viene vissuto con
entusiasmo lontano dai luoghi di partenza; lì si consuma e non sempre lascia
traccia, non solo per difetto delle
realtà locali, ma degli
stessi giovani secondo le diverse realtà di Chiesa. Almeno il messaggio
dell’evento vissuto dovrebbe e potrebbe
essere ripreso con l’aiuto di accompagnatori, ma probabilmente tale messaggio non è intellettuale o dottrinale, è un clima vissuto di fraternità, accoglienza, entusiasmo, festa, direi comunione - in
termini sociologici “fusione”, o “effervescenza collettiva” da cui secondo Durkheim ha origine la religione. Predomina l’aspetto espressivo e dello stare
insieme che entusiasma ed unisce.
Interpretato così brevemente l’evento, la domanda se si tratti
solo di fede superficiale, sentimentale, emozionale è legittima ma ha meno senso perché riguarda il contenuto, che rimane da verificare. Potrei dire che questi eventi in ogni caso sono anche
celebrativi di “misteri di fede” da parte della gioventù presente, se
l’attenzione non è assorbita dalle modalità di celebrazione e dall’attore sulla scena. Che poi le comunità parrocchiali non siano dovunque in
grado di creare il clima sopracitato, senza accusare nessuno, risulta
evidente; modalità celebrative e aggregative non sempre sono
giovanili. Se eminenti rappresentanti del clero non sempre sono in grado di dare risposte
convincenti, se non altro per la loro età e abitudine a parlare dall’alto, papa
Francesco ha invece mostrato un linguaggio comunicativo, fatto anche di
gesti, che ha coinvolto.
Sul piano analitico due fenomeni
strutturali non si possono trascurare:
almeno nei paesi occidentali le famiglie hanno cessato di essere mezzi di
trasmissione religiosa, spezzando anelli tradizionali di socializzazione, e l’avvenire della Chiesa, o meglio delle comunità cristiane, dipende dall’accoglienza delle giovani
generazioni e dallo spazio ad esse riservato, quindi da un ringiovanimento di strutture non solo aggregative e
celebrative, ma di linguaggio e approccio ai loro problemi. I giovani non sono solo il futuro della società, ma della stessa Chiesa.
Su un piano interpretativo più generale
soccorre l’analisi del filosofo sociologo Charles Taylor L’età secolare (Feltrinelli, Milano 2009), che nel processo di secolarizzazione mette in evidenza il mutamento delle “condizioni della credenza”: Qui il
passaggio alla secolarizzazione consiste, tra le altre cose, nella transizione da una società (come nel 1500)
in cui la fede in Dio era incontestata e, anzi, non problematica, a una (come
nel terzo millennio) in cui viene considerata come un’opzione tra le altre e
spesso come non la più facile da abbracciare. (p. 13)
E’ la domanda che i giovani anche in famiglie di tradizione
cattolica talora rivolgono: “Dammi un
motivo, o meglio un argomento, per credere in Dio!”
Per onestà culturale non si dire che tipo di comunità cristiana, di parrocchia, di pastorale giovanile sia necessaria per il futuro della Chiesa, anche se noto che troppi si affaccendano intorno
a modalità più o meno bizzarre che sono ai margini del problema. Le eventuali
risposte sono a mio avviso incluse nelle sfide enunciate prima, ma occorre anche chiarire che cosa si intende per “pastorale
giovanile” e per la categoria “generazioni”, che per definizione
variano secondo gli eventi sociali, culturali e religiosi che hanno lasciato
l’impronta su di esse. Noi che chiacchieriamo, a quale generazione
apparteniamo? E’ da abbandonare un atteggiamento di sufficienza non solo
clericale per riconquistare la nostra giovinezza di spirito.
Quando si tratta di cosa cambiare
nella Chiesa per riconquistare i giovani, in questione non è solo la struttura gerarchica, clericale, gerontocratica della Chiesa, ma il modo di pregare, celebrare, cantare,
stare insieme, in sintesi le modalità di credere e celebrare. Direi sopratutto che si tratta di CREDERE e
AMARE, essere al servizio dell’umanizzazione del mondo e della fraternità
universale. Prima di tutto di
“ascoltarli” ed entrare empaticamente in contatto con loro, con la vita giovane
che continua a scorrere.
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