ESPERIENZE PASTORALI DEL MIO CAMMINO A SCAMPIA (parte 3)
L'articolo di cui pubblichiamo la terza parte è uscito sul numero 34/2013 del periodico di attualità pastorale Settimana, edito dalle Dehoniane. Leggi la parte 1 - Leggi la parte 2.
tratta da cdbcassano.it |
Anche nella celebrazione della
Messa domenicale cerco di avvicinarmi non solo metaforicamente ai presenti, con
un’omelia in dialogo muto o esplicito con i fedeli e con l’osservazione
sconvolgente che una domenica ho fatto a me stesso: i presenti, prevalentemente
donne anziane e madri di famiglia, per formazione e forse convinzione sono
“mute”, non hanno voce non solo nella liturgia della Parola. Siamo tutti
“ascoltatori della Parola” secondo la nota espressione di p. Karl Rahner, ma
non muti in una condivisione ordinata, sostenuta da
un’adeguata preparazione biblica e teologica. Certo il progresso non è solo nella
partecipazione rituale e verbale al mysterium fidei, ma nell’illuminazione
derivante dalla fede cristiana assimilata come nutrimento di vita, anche per impegnarsi
a costruire una società più umana e fraterna sul territorio.
Non è agevole nel contatto con i
fedeli proporre “verità scomode”. In seguito all’affermazione di una signora
alla fine della Messa feriale secondo cui i Rom del vicino campo “devono andar
via” perché disturbano, in una delle domeniche successive – con un'enfasi
forse eccessiva – ho detto che non si poteva fare la comunione e poi voler
cacciare i Rom da un campo invivibile. La mia impressione è che abbandonato il
moralismo precedente delle prediche, non sempre le nostre omelie mordano su
realtà sociali circostanti. In più occasioni da parte di fedeli presenti sono
venute “parole” illuminanti nel corso del colloquio omiletico, come quando una
signora che partecipava attivamente alla celebrazione eruppe dal cuore: “La
forma suprema di amore è l’amore matrimoniale!” (sic). Parola di Dio.
Anche da queste esperienze
pastorali a livello micro, con la priorità della Chiesa “ad aver Cristo come
suo punto punto centrale (biblico, liturgico, pasquale, comunitario, ecumenico e missionario” per dirla con Yves
Congar, Diario del Concilio) attraverso
la riflessione su un’esperienza particolare, emergono almeno due problemi
comuni per la vita delle comunità cristiane: la restituzione del ruolo e della
“voce” che spetta al laicato secondo la categoria di “popolo di Dio” nella vita
della Chiesa e nell’umanizzazione delle relazioni e istituzioni sociali. E la
promozione della donna nella vita della Chiesa. Preoccupato della
secolarizzazione femminile non solo nelle società europee occidentali e di
conseguenza della rottura della “religione come catena della memoria cristiana
ed europea”, il sociologo cattolico Josè Casanova in un recente saggio
considera la “questione di genere” e la risposta inadeguata finora data dalla Chiesa
cattolica come la sfida più nodale che deve affrontare non solo nelle società
liberali e democratiche (Fenomeno
globale. Secolarizzazione, risveglio religioso, fondamentalismo, in Il
Regno Attualità, 10/2013). Evidenzia in particolare che, non solo in America
Latina, le donne sono particolarmente attratte dalle nuove comunità
evangelicali, pentecostali e carismatiche. E va aggiunto empiricamente che
nelle nostre chiese l’audience femminile è prevalente e bisogna tenere conto di
questo dato demografico.
Partecipi della comune umanità, maschi e femmine siamo
creati ad immagine e somiglianza di Dio, o no? E’ paradossale che le donne possano
ricevere dentro di sé il Corpo di Cristo, distribuire e portare l’Eucarestia ai
malati, e non poter poi celebrare l’Eucarestia, in forza di distinzioni di tipo
sociale, a parte altre motivazioni presentate dalla gerarchia della Chiesa. Ci
auguriamo che uomini e donne possiamo cantare insieme le lodi del Signore che
nel suo Spirito si dona a tutti.
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