GIOVANI E PRETI DI FRONTIERA SI CONFRONTANO
tratta da ilroma.net |
Fa riflettere che a
pochi mesi dalla pubblicazione il volume abbia registrato numerose
presentazioni a Napoli e in Campania, forse perché le figure più o meno note di
questi personaggi sono sulle frontiere dell’inumanità del carcere, del sostegno
a drogati in un cammino di uscita dal tunnel della droga, dei quartieri di
periferia anche in rioni storici di Napoli, della valorizzazione del territorio
e promozione di opportunità lavorative, dell’associazionismo in lotta contro la
criminalità, della presenza in mezzo alle diverse etnie di immigrati a
Castelvolturmo, e non ultimo a difesa dei diritti e delle condizioni di vita
del popolo Rom.
Questo richiamo si può spiegare non solo con un’affinità
culturale e religiosa con l’operato di questi preti, ma più in generale con una
categoria elaborata in sociologia della religione come “Religione vicaria”, per
indicare una minoranza religiosa che opera a favore di un più ampio numero che
approva ciò che la minoranza sta compiendo. Questa approvazione non sempre si
riscontra da parte di rappresentanti e strati di fedeli delle comunità
cristiane del territorio, anche a causa di precedenti modelli sacrali e
clericali del sacerdote, anche se aggiornati, e di cammini spirituali di gruppi
e movimenti specialmente carismatici.
Nel dialogo instaurato
con cinque dei tredici “preti di frontiera” intervenuti (don Franco Esposito,
don Antonio Loffredo, don Aniello Manganiello, padre Carlo De Angelis e il
sottoscritto), a partire dalle domande loro rivolte da giovani lettori, mi ha
colpito l’umanità della testimonianza lontana da approcci ideologici. Coglie
nel segno Roberto Saviano scrivendo nella Prefazione: “Uomini che non hanno avuto paura di guardare l’abisso e di affrontarlo
senza proclami, senza sogni palingenetici. Ma piano, momento per momento, incontro
per incontro. Costruendo soluzioni. Soluzioni, ciò che più manca e quanto di
più umile e difficile esista”. E’ stata per me una sorpresa la serietà e
pertinenza delle domande di questi giovani che non riguardavano solo il
contesto e le difficoltà dell’operare su varie frontiere, ma direttamente la
persona, il coinvolgimento e la trasformazione anche di fede. “Un
sacerdote impegnato come Lei si troverà spesso a condurre battaglie lunghe e
difficili. Come è possibile, in tali casi, comprendere ciò che il Vangelo sta
chiedendo e, quindi, riuscire a non perdere mai di vista il sottile limite che
esiste tra la missione di "uomo" e quella di "uomo di Dio"? Un altro: “In questi miei trent'anni le ho rivolto
sempre domande che riguardavano la mia vita e in ogni sua risposta ho trovato
la forza per andare avanti. La sua porta è stata sempre aperta, e forse la
domanda che non ho mai fatto e avrei voluto rivolgerle è: ma tu, come stai?" E “nell’affrontare situazioni così difficili,
quanto hanno minato, messo in dubbio, o rafforzato la sua fede?”
Sono venute all’attenzione le trasformazioni delle
periferie da San Giovanni a Teduccio a Scampia, le inumanità ed inutilità del
carcere per un vera redenzione, la devastazioni delle vite giovanile da parte
della droga, da non abbandonare alla loro sorte, la creazione di opportunità
lavorative con le risorse culturali e
umane del territorio, con l’interrogativo se appartenendo ad una economia
diversa da quella del profitto, sia possibile pensare ad un Terzo settore che
si auto-sostenga e non dipenda solo da finanziamenti pubblici, la promozione
della donna nella società e nella vita della Chiesa. E’ comune l’incontro e
l’accompagnamento umano in tutte le esperienze narrate, con un’empatia ed una
vicinanza alle persone per una risoluzione anche concreta dei disagi. Rispetto
ad un’auspicata e vissuta pastorale on
the road, qualcuno ha chiesto come si possa superare questo momento storico
nel quale si tende maggiormente a rinchiudersi nel proprio castello piuttosto
che scendere a valle. Come poter stanare le figure chiave della nostra società da
poltrone e cattedre? E inoltre come poter esigere che la lingua parlata dalla Chiesa
non sia un qualcosa di lontano dalle nostre realtà ma sia realmente umana. Giovani da ascoltare e a
cui rispondere per un cammino comune, in cui forse avere maggiore fiducia.
Nella
riflessione su questo evento e sui preti che si sono esposti alle domande dei
giovani mi sovviene per un superamento di angustie mentali lo scritto di Teihlard
de Chardin “La Messa
sul mondo”: “Poiché
ancora una volta, Signore, non più tra le foreste dell’Aisne, ma nelle steppe
dell’Asia, non ho né pane, né vino, né altare, mi eleverò al di sopra dei
simboli fino alla pura maestà del Reale, e io, tuo sacerdote, ti offrirò
sull’altare di tutta la Terra
il lavoro e la pena del Mondo”.
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