GIOVANI E PRETI DI FRONTIERA SI CONFRONTANO

tratta da ilroma.net
Anche a Scampia la presentazione giovedì 10 ottobre del volume di Ilaria Urbani La buona novella. Storie di preti di frontiera (Guida, Napoli 2013) ha raccolto un numeroso e qualificato pubblico del “Caffè letterario” e delle associazioni del territorio nell’auditorium della scuola Carlo Levi. L’iniziativa promossa dal laboratorio politico-culturale Scampia felice con una modalità innovativa si proponeva di far dialogare tredici giovani di Scampia con i tredici “preti di frontiera” le cui biografie erano raccolte nel volume, per un incontro diretto con i protagonisti di queste storie. La location di Scampia per questo dialogo aveva senso perché ben cinque di questi preti di frontiera vivono nell’area Nord di Napoli tra Scampia e Miano.

Fa riflettere che a pochi mesi dalla pubblicazione il volume abbia registrato numerose presentazioni a Napoli e in Campania, forse perché le figure più o meno note di questi personaggi sono sulle frontiere dell’inumanità del carcere, del sostegno a drogati in un cammino di uscita dal tunnel della droga, dei quartieri di periferia anche in rioni storici di Napoli, della valorizzazione del territorio e promozione di opportunità lavorative, dell’associazionismo in lotta contro la criminalità, della presenza in mezzo alle diverse etnie di immigrati a Castelvolturmo, e non ultimo a difesa dei diritti e delle condizioni di vita del popolo Rom.
Questo richiamo si può spiegare non solo con un’affinità culturale e religiosa con l’operato di questi preti, ma più in generale con una categoria elaborata in sociologia della religione come “Religione vicaria”, per indicare una minoranza religiosa che opera a favore di un più ampio numero che approva ciò che la minoranza sta compiendo. Questa approvazione non sempre si riscontra da parte di rappresentanti e strati di fedeli delle comunità cristiane del territorio, anche a causa di precedenti modelli sacrali e clericali del sacerdote, anche se aggiornati, e di cammini spirituali di gruppi e movimenti specialmente carismatici.

Nel dialogo instaurato con cinque dei tredici “preti di frontiera” intervenuti (don Franco Esposito, don Antonio Loffredo, don Aniello Manganiello, padre Carlo De Angelis e il sottoscritto), a partire dalle domande loro rivolte da giovani lettori, mi ha colpito l’umanità della testimonianza lontana da approcci ideologici. Coglie nel segno Roberto Saviano scrivendo nella Prefazione: “Uomini che non hanno avuto paura di guardare l’abisso e di affrontarlo senza proclami, senza sogni palingenetici. Ma piano, momento per momento, incontro per incontro. Costruendo soluzioni. Soluzioni, ciò che più manca e quanto di più umile e difficile esista”. E’ stata per me una sorpresa la serietà e pertinenza delle domande di questi giovani che non riguardavano solo il contesto e le difficoltà dell’operare su varie frontiere, ma direttamente la persona, il coinvolgimento e la trasformazione anche di fede. “Un sacerdote impegnato come Lei si troverà spesso a condurre battaglie lunghe e difficili. Come è possibile, in tali casi, comprendere ciò che il Vangelo sta chiedendo e, quindi, riuscire a non perdere mai di vista il sottile limite che esiste tra la missione di "uomo" e quella di "uomo di Dio"? Un altro: “In questi miei trent'anni le ho rivolto sempre domande che riguardavano la mia vita e in ogni sua risposta ho trovato la forza per andare avanti. La sua porta è stata sempre aperta, e forse la domanda che non ho mai fatto e avrei voluto rivolgerle è: ma tu, come stai?" E  “nell’affrontare situazioni così difficili, quanto hanno minato, messo in dubbio, o rafforzato la sua fede?”

Sono venute all’attenzione le trasformazioni delle periferie da San Giovanni a Teduccio a Scampia, le inumanità ed inutilità del carcere per un vera redenzione, la devastazioni delle vite giovanile da parte della droga, da non abbandonare alla loro sorte, la creazione di opportunità lavorative con le  risorse culturali e umane del territorio, con l’interrogativo se appartenendo ad una economia diversa da quella del profitto, sia possibile pensare ad un Terzo settore che si auto-sostenga e non dipenda solo da finanziamenti pubblici, la promozione della donna nella società e nella vita della Chiesa. E’ comune l’incontro e l’accompagnamento umano in tutte le esperienze narrate, con un’empatia ed una vicinanza alle persone per una risoluzione anche concreta dei disagi. Rispetto ad un’auspicata e vissuta pastorale on the road, qualcuno ha chiesto come si possa superare questo momento storico nel quale si tende maggiormente a rinchiudersi nel proprio castello piuttosto che scendere a valle. Come poter stanare le figure chiave della nostra società da poltrone e cattedre? E inoltre come poter esigere che la lingua parlata dalla Chiesa non sia un qualcosa di lontano dalle nostre realtà ma  sia realmente umana. Giovani da ascoltare e a cui rispondere per un cammino comune, in cui forse avere maggiore fiducia.


Nella riflessione su questo evento e sui preti che si sono esposti alle domande dei giovani mi sovviene per un superamento di angustie mentali lo scritto di Teihlard de Chardin “La Messa sul mondo”: “Poiché ancora una volta, Signore, non più tra le foreste dell’Aisne, ma nelle steppe dell’Asia, non ho né pane, né vino, né altare, mi eleverò al di sopra dei simboli fino alla pura maestà del Reale, e io, tuo sacerdote, ti offrirò sull’altare di tutta la Terra il lavoro e la pena del Mondo”.

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