PIANETA GIOVANI, DOVE STIAMO ANDANDO? DOMANDE E RISPOSTE

tratta da panorama.it
Nel mio ambiente di vita raccolgo le difficoltà sperimentate dagli operatori (anche religiosi) nell'aggregare i giovani, e a tratti i risultati non soddisfacenti delle attività formative intraprese. La domanda preliminare potrebbe essere se la difficoltà risieda nei giovani o nelle metodologie messe in campo che non entrano in sintonia con il loro mondo di vita. La domanda di fondo diventa allora: come si entra in “empatia” con i giovani, singolarmente o in gruppo? Ho scelto di chiederlo ad alcuni operatori e ad alcuni giovani. Una piccola indagine senza pretese che riguarda il "pianeta giovani" e i suoi "mondi vitali" nella fascia di età 18-24 anni, corrispondente agli studi universitari e alle prime esperienze lavorative e sociali.
Iniziamo pubblicando le risposte di Giacomo D'Alessandro, 23 anni, studente di Genova e curatore di questo blog.


In riferimento ai giovani incontrati, i loro mondi vitali da quali aspirazioni, attese, speranze, sentimenti e pulsioni, valori, tendenze ed impegni sono segnati nel cammino di vita? Si possono individuare delle parole chiave nei loro discorsi, e pratiche che svelano il loro mondo?

Pulsioni e tendenze mi sembrano le chiavi di ricerca più azzeccate per le giovani generazioni di questi anni. Il cambiamento più incisivo che ci riguarda è quello dei mezzi di comunicazione, ovvero una mutazione delle dinamiche di fruizione, di pensiero, di espressione e quindi anche di organizzazione della propria vita. La cosiddetta ipertestualità, il rimando tra collegamenti (link) in base a svariati criteri, da cui è nato il web, sta rapidamente contagiando il modo stesso di vivere, parlare, comprendere, pensare, forse anche sognare.
Tre sono le spinte maggiori che vedo nel vasto panorama giovanile, mai così variegato ma allo stesso tempo mai così omologato proprio dagli strumenti tecnologici di relazione:
1) Una spinta alla libertà personale: nessuno mi può dire chi sono e a quali regole sottostare. Non mi interessa appartenere a un gruppo preciso, connotarmi in maniera stabile, sentirmi ingabbiato in una sola appartenenza. Non mi faccio problemi morali sulla sessualità, sulla qualità delle mie relazioni, su quale idea di amicizia, quale idea di fiducia, quale idea di etica sviluppare, non mi faccio problemi sul bene comune, su una presunta “comunità” civile, né tanto meno su come tratto il mio corpo con alcool, fumo o stupefacenti…
2) Una spinta all’individualismo: è più importante il MIO percorso di studi, il MIO benessere, il MIO tempo libero, le MIE relazioni, il MIO lavoro, il MIO percorso di vita da costruire…
3) Una spinta all’incertezza e alla diffidenza rispetto al “sistema”: la politica non funziona, l’economia è in crisi, il lavoro non c’è, quel poco che funziona del sistema me lo devo accaparrare prima degli altri, altrimenti vado via, o mi chiudo nella mia nicchia dove vivo di rendita grazie alla famiglia e alle conoscenze. Non ho possibilità di influire sulla realtà quindi devo diventare un esperto “saltellatore” di qua e di là a seconda delle opportunità che intravedo di arricchire il mio curriculum e la mia posizione rispetto a un sistema in sfracellamento, ma che è l’unica cosa che ho sotto i piedi.


Ogni generazione, sociologicamente parlando, è segnata da particolari eventi sociali, culturali, politici, religiosi che la connotano. La generazione in questione è una generazione dei social network, una generazione globale, o è ancora locale, o se si vuole “glocale” che unisce globale e locale?

La generazione dei giovani è una generazione per molti versi locale, che fa dei social network il suo pane quotidiano come mezzo di scambio, relazione, finestra sul mondo (e spesso sul mondo del “divertimento” e delle superficialità). Ma c’è una larga fascia, specialmente universitaria, che non ha problemi a svincolarsi da un ambiente di vita per trapiantarsi continuamente in altri ambienti (università in altre città, erasmus, tesi all’estero, anno all’estero, lavoretti all’estero…), mantenendo di fatto una (a volte debolissima ma presente) rete di relazioni a distanza su più luoghi di vita. L’uso dei social network come esclusivo (per molti) canale di informazione e di relazione, di condivisione e anche di apprendimento, sta favorendo una diversa concezione di sé come cittadini del mondo annullando le distanze e omologando i linguaggi. Il lato oscuro di questa dinamica è il rischio di considerare inutile tutta una serie di altre forme esperienziali che sono invece necessarie per conoscere e comprendere autenticamente un’altra situazione di vita e impegnarvisi con costanza e dedizione, “faccia a faccia”. La sfida delle nuove generazioni è rendersi versatili nel passare, quando opportuno, dal “faccia-libro” al “faccia-faccia”.

Quali sono i riferimenti spaziali e temporali dei loro mondi? Puramente virtuali e di corto periodo? Intrisi dell’a-temporalità dei flussi mediatici? Quale futuro intravedono  e vogliono costruire i giovani che hai incontrato?

La domanda è molto difficile. Queste dinamiche subiscono una velocità di trasformazione sempre più alta. Fino a dieci anni fa il web era più o meno irrilevante per la maggioranza delle persone. Fino a cinque anni fa i social network non esistevano. Fino a due anni fa i mobile non erano contemplati nella comunicazione e nell’uso quotidiano. Da qualche mese si attendono i Google glasses, gli occhiali come nuovo prototipo di media digitale connesso a Internet e interattivo con l’uomo. Questo significa continui nuovi mutamenti nella fruizione della “virtualità” da parte delle persone, e a seconda del mezzo cambia il tempo e il luogo di questa fruizione nella vita di una persona. Come è sempre valso nella storia, sopravvivrà meglio chi si approccerà a ogni nuovo mezzo tecnologico con sufficiente impianto critico per non farsi schiavizzare, sapendo individuare rischi e pericoli su di sé e sul gruppo di un utilizzo sbagliato di quel mezzo. Il banco di prova è sapersene staccare, saper riconoscere continuamente che si tratta di “mezzi”, non di luoghi di destinazione o di relazione piena. Il mezzo mi serve se voglio andare da qualche parte. Se scelgo una destinazione per cui non è necessario, il mezzo lo posso spegnere e lasciar perdere. La virtualità, specialmente per le generazioni ancora dopo la mia, quelle dei cosiddetti “nativi digitali”, sarà un banco di prova tra i maggiori della storia dell’umanità. Molti dei rischi che correremo li abbiamo già intravisti in certi libri e film di fantascienza. Gente imprigionata con la mente in realtà virtuali (a sua insaputa), menti forzate e manovrate grazie alla tecnologia, intelligenze artificiali sviluppate al punto da minacciare la vita reale dell’umanità… Non sono scenari apocalittici, ma rischi a mio parere effettivi, che una società dell’informazione e della comunicazione si trova davanti. Qui si gioca la sfida educativa più grande, altro che “identità di genere” e “buffonate ideologiche” cui anche la Chiesa spesso va dietro. Spendiamocelo bene questo decennio CEI sull’educazione, ce ne sarà bisogno.

Quale rapporto dei giovani  con la politica, o meglio con i discorsi politici rimbombanti sulle loro teste, per la costruzione della città dell’uomo a livello locale, nazionale, europeo, mondiale? In questo campo quali sono  sensibilità e gli impegni prioritari per la costruzione di un mondo più giusto e umano a loro portata? In particolare, quale atteggiamento nei confronti di diversi, migranti e rom di qualsiasi genere?

Su tantissime cose che a livello politico nazionale fanno ancora problema, i giovani sono piuttosto avanti. Tutto il discorso integrazione, intercultura, cittadini del mondo oltre le frontiere, è già nelle loro corde (eccetto per alcune fasce che rimangono prive di crescita culturale magari a causa di condizioni sociali o famigliari molto disagevoli).
Quando il tema è la politica “elettorale”, i più manifestano il loro distacco e la loro ignoranza frutto di disinteresse. Parlo anche di giovani molto acculturati e impegnati. Alcuni gruppi si lasciano motivare su piccole esperienze politiche, e dimostrano buone capacità. Ma manca assolutamente una visione condivisa per una società alternativa. Tantissimi si spendono nel volontariato, o mettono al servizio le loro competenze gratuitamente (tanto si parte già senza la speranza di essere pagati…), e lì hanno una forte passione per costruire un certo tipo di società; ma il “salto” alla dimensione politica progettuale manca, non è né desiderato né stimolato. Manca un’educazione a tutto ciò. Basti pensare che la mia generazione ha iniziato a prendere coscienza del mondo sotto il berlusconismo. Quella è la nostra idea di politica; ciò che era prima – se mai ce lo raccontano (e non certo nei programmi scolastici) – è storia distante. Invitante, no?

Quali concezioni e atteggiamenti nei confronti della religione trasmessa e quali itinerari religiosi incrociano le loro vite? Cosa considerano esperienze religiose significative?

Ho vissuto variegate esperienze in merito, ma qui la questione è ben più complicata. La questione “di fede” oggi per i più non solo è irrilevante, ma non vi si è nemmeno mai stati posti di fronte. E non lo dico come un problema. Mi sento molto duro su questo punto perché mi sono speso tante volte, fin da ragazzino, a favore di una Chiesa diversa, più al passo coi segni dei tempi. Non solo ho ricevuto tante porte in faccia, ma sono stato additato come quello “cattivo”, che critica perché ci crede poco. Questo per dire cosa? Che se neanche un giovane che si impegna dall'interno trova uno spazio e un confronto sensato, come possiamo stupirci che maree di gente se ne stiano ben alla larga da tutto ciò che è “religione”?
Si parla di “scristianizzazione” della società occidentale. Meno male, dico io, ben venga. Se la cultura cristiana di questi secoli è quella che ha prodotto tanta “cenere” (cit. Martini) sulla brace essenziale, ben venga un crollo generale. Forse allora si potrà far piazza pulita di inutili orpelli e presunte dottrine per riprendere nell'essenza la forza del Vangelo e il suo radicale impegno per la giustizia nel mondo. Solo allora sarà possibile una diffusa credibilità ecclesiale, e si sarà liberi da forme vecchie e incomprensibili, tale che riparta una evangelizzazione autentica ed efficace. Nel frattempo, se si vuole proporre un’esperienza di fede a gruppi di giovani, bisogna puntare sulle dimensioni dell’impegno, del servizio, del viaggio, dell’arte, della musica… E soprattutto sulla laicità. Ovvero su linguaggi contemporanei e modelli di vivere comprensibili, avvicinabili, con dentro l’irresistibile radicalità del Vangelo.

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