REGNA MAGNA LATROCINIA (O DELLA CORRUZIONE)
Di fronte alle onde
delle notizie sulla corruzione, non solo nella realizzazione di opere
pubbliche, dalle Alpi alla Sicilia,
sovviene un famoso detto di Agostino nel Libro IV del De civitate Dei: "Remota itaque iustitia, quid sunt regna nisi
magna latrocinia?” Non osservata la giustizia, che cosa sono i regni se
non grandi latrocini?. Nello stesso tempo, la giustizia legittima i regni
contro i latrocini. L’affermazione agostiniana non è una giustificazione dei latrocini perpetrati anche oggi nella società italiana, varie forme
di appropriazione indebita di risorse pubbliche che sono una trasgressione
della giustizia codificata in leggi, norme e regole sociali. Cioè di un etica
pubblica non osservata nei comportamenti
e nelle pratiche, nell'ethos concreto da
parte di singoli o gruppi sociali (non a caso si parla di cupole, cricche,
bande di ladri), in maniera sistematica o meno, per scopi di profitto personale, aziendale, o
di gruppo.
Di fronte a questa
dilapidazione del denaro,
una prima considerazione riguarda il valore da attribuire alla moneta nelle transazioni, come mezzo di scambio e comunicazione, che viene
corrotto per appropriazione indebita di risorse pubbliche nei casi
all’attenzione della Magistratura e della pubblica opinione, ma anche
sottratto ad investimenti economici e sociali a beneficio della
collettività. E non si tratta di bande di poveri cristi che irrompono come nel
West nella banca del villaggio, ma di signori benvestiti con borsa professionale
in mano, come nelle fiction, i quali portano rotoli di carta moneta
(la vil moneta) a casa dell’interessato o in altro luogo di incontro.
Non basta l’indignazione momentanea, che finisce talora per generare assuefazione e
rassegnazione. Insieme all'azione
investigativa e repressiva della Magistratura si tratta da parte della società civile di
elevare la diga della riprovazione sociale, come è stato affermato per le attività criminali delle mafie non solo
nel Mezzogiorno. Per dissuadere dalle tentazioni, da parte di tutti, non assecondando comportamenti
ambigui e poco trasparenti in alto e in basso di aziende, uffici e amministrazioni
private e pubbliche. Di fronte a comportamenti diffusi di corruzione e concussione può essere utile chiarire la
distinzione tra reato e peccato, che riguarda da una parte l’ambito delle
leggi civili e dall'altro quello della
moralità in riferimento alle categorie di bene e di male. Il reato attiene a un comportamento sanzionato da un codice che
dà luogo ad un crimen e configura una
trasgressione di una norma da accertare
e sanzionare con una pena di vario genere, mirata alla rieducazione del
condannato. L’art. 27 della Costituzione italiana precisa che “la
responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino
alla sentenza definitiva. Le pene (...) devono tendere alla rieducazione del condannato”. Meno noto è l’art. 28 che
recita: “I funzionari ed i dipendenti
dello Stato e degli Enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le
leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei
diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli
Enti pubblici”. In tutte e due le
norme è posta a fondamento dei comportamenti
penalmente o civilmente rilevanti la responsabilità personale. Un
dettaglio (si fa per dire) di questo
sanzionare una trasgressione, per quanto consta, oltre al sequestro di
beni immobili e mobili stabiliti dalla magistratura, è che non abbiamo quasi mai
sentito parlare di restituzione volontaria del maltolto da parte dell’inquisito.
In merito all'uso
della categoria di “peccato” in riferimento
alla corruzione sono illuminanti alcune espressioni di Papa Francesco
riportate da Eugenio Scalfari: "I
peccati del mondo sono l’ingiustizia e la prevaricazione. Io li chiamo concupiscenza, cupidigia di potere,
desiderio di possesso. Questi sono i peccati del mondo e dobbiamo combatterli
con tutte le forze di cui disponiamo" (La Repubblica , 8 giugno 2014). Scalfari aggiunge che la fattispecie in cui si consumano questi peccati sono
per esempio la corruzione. La considerazione
di papa Francesco in merito ai peccati del mondo non è puramente moraleggiante ma ha un chiaro carattere interpretativo andando alle radici nel cuore umano, secondo la lettera giovannea (1 Gv 2) e l’ingiustizia e la
prevaricazione vanno combattuti nelle
loro radici per un cambiamento profondo. Certo sono un male, e sotto questo profilo da
rigettare perché secondo Agostino messa da parte la giustizia (remota iustitia) dilagano i latrocini di beni pubblici e
privati che non esimono da responsabilità personali e sociali in sede civile e
morale.
Riferendosi a
peccati sociali, non si tratta di macchie che vanno via a buon mercato con un
po' di acqua santa. Forse dovrebbero entrare a far parte di seri esami di
coscienza - non solo per il sacramento della riconciliazione - che contemplino
l’osservanza dell’etica pubblica nelle
transazioni economiche e sociali e la restituzione del maltolto secondo
l’esempio evangelico di Zaccheo.
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