IL CERCHIO DEL SACRO
tratta da nanopress.it |
Agli inizi del mese, nel
quartiere popolare della “Pignasecca” a Napoli, uno stimato e zelante parroco
ha eretto nella piazzetta Montesanto al posto di una fontanella una grande
statua del Cristo Redentore perchè “potesse accogliere i pendolari che escono
dalla stazione della Circum”. L’iniziativa ha fatto discutere perchè mancante
delle necessarie autorizzazioni, cioè era “abusiva”, successivamente ha
ricevuto il via libera dalla Municipalità e dalla Sopraintendenza. Non
intendiamo fermarci su questo aspetto riguardante l’osservanza delle regole
sociali anche da parte di operatori religiosi, ma sul fenomeno che è stato
definito da qualche decennio come il ritorno del sacro (o se si vuole degli dèi)
nella sfera pubblica, e sopratutto su gesti e manifestazioni religiose nelle
regioni meridionali, dagli inchini di statue davanti ad abitazioni di boss alle
immagini sacre che non mancano nelle abitazioni di camorristi, secondo la fiction
“Gomorra 2” .
Al di là di momentanei reportage giornalistici, si avverte l’esigenza di
approfondimenti di carattere culturale ma non solo, perchè non sono fenomeni di
un giorno ma rappresentano modelli culturali che a nostro avviso non sono stati
sempre modellati dalla fede cristiana.
In primo luogo, nell’analisi di gesti
come gli inchini davanti alle case dei padrini, può soccorrere “il relativismo
culturale” degli antropologi. In un colloquio di Marino Niola con uno dei più
grandi specialisti di culture mediterranee (La Repubblica , 5 agosto,
2014), l’antropologo Michael Herzfeld sfata i cliché negativi delle culture
mediterranee. In merito ai segni di ossequio davanti all’abitazione di un boss,
lo studioso osserva: “E’ sempre possibile
che un delinquente usi i valori, i codici, le ritualità tradizionali per
legittimare i suoi atti. Dal mio punto di vista, però, certi fatti sono di
ordine criminale solo se la comunità locale li considera tali. Se invece gli
abitanti sostengono l’atteggiamento dei criminali, da antropologo devo
accettare il loro punto di vista, per poterli osservare e studiare come un
fenomeno sociale. (...) Di fatto in ogni paese coabitano due idee di legalità.
Una comunitaria, l’altra statuale. In tutte le società considerate troviamo un atteggiamento
contrario allo stato. Ma chi ha detto che lo Stato sia la migliore protezione
per l’uomo?”. E aggiunge: “A me
invece interessa indagare la differenza tra chi giudica secondo le norme
vigenti e chi giudica secondo quei valori che io chiamo ‘Intimità culturale’”.
Questo ragionamento di natura culturale forse si può rendere con un altra
differenza di tipo filosofico, tra l’etica come discorso sulle norme alla luce
di valori, e l’ethos che comprende i mores, i comportamenti sociali concreti.
Rimane da verificare quanto i gruppi sociali partecipanti ad una manifestazione
religiosa condividano certi gesti ed il loro significato di ossequio e
protezione.
In secondo luogo, può essere
utile fare riferimeno al concetto sociologico di “religione vicaria”, che
indica una minoranza sociale attiva cha opera a favore di un più ampio numero che
approva ciò che sta facendo, che opera con il consenso circostante. I portatori
di statue con le loro ritualità operano effettivamente con il consenso della
platea che si assiepa lungo il percorso, che esplicita ciò che culturalmente è
condiviso più o meno profondamente, o è solo un folclore storico come
rappresentazione di eventi del passato in costumi tradizionali? Esprime un residuo
culturale religioso che contribuisce ad un’identità qualsivoglia di una
comunità, rispetto ai trend
omologanti della globalizzazione?
Inchini di statue e immagini
religiose non decorano solo abitazioni e parchi in quel di Scampia,
non esprimono forse modelli religiosi
culturalmente radicati più o meno profondamente in deterninati strati di popolazione e hanno modellato un
immaginario religioso condiviso da buoni
e cattivi? La questione del “sacro” non è riducibile ad una fiction più o meno
adeguata alla realtà, o ad un parroco che di sua iniziativa erige (senza
preventiva preparazione) in una pubblica piazza una statua del Redentore, che
non influisce sulle condotte di vita. Riferendosi alla sopravvivenza di queste
manifestazioni religiose, in risposta ad un lettera, secondo Corrado Augias nel
Mezzogiorno una blanda fede si mescola
ad antiche superstizioni, sfiducia, speranza, complicità, un semiconsapevole
bisogno di assistenza celeste. Gli inchini ai capi criminali sono solo
l’appendice di tutto questo. “Non sarà
facile venirne a capo” (La
Repubblica , 31 luglio).
Pensando alle statue traballanti
portate a spalla in processioni estive per borghi e quartieri, non ho potuto
fare a meno di ricordare il Decalogo nel libro del Deuteronomio che recita
tuttora: “Io sono il Signore, tuo Dio,
che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile. Non avere altri dei di fronte a me. Non ti
farai idolo o immagine alcuna di ciò che è lassù in cielo, né di ciò che è
quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti
prostrerai davanti a quelle cose e non le servirai” (5, 6-9)
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