PERCHE' IL SUD E' RIMASTO INDIETRO
Lo
storico dell’economia Emanuele Felice nel suo studio Perchè il Sud é rimasto indietro (Il Mulino, Bologna 2013),
attraverso una rilettura delle fonti e dei dati statistici economici e sociali
dall’Unità d’Italia ad oggi in riferimento ai divari nello sviluppo, prova a
fornire una spiegazione sul perchè il Mezzogiorno è rimasto indietro e non è
riuscito a “convergere” con le regioni del centro-nord secondo indicatori di sviluppo
economico ed umano nel corso del periodo considerato.
Il
Mezzogiorno rispetto all’Italia ed all’Europa, oggi non solo continua a
presentarsi più povero, arretrato nelle condizioni di vita, nei diritti sociali
e nelle libertà civili, ma secondo l’A. non sembra nemmeno aver trovato una
narrazione legata all’evidenza storica che sappia dar conto di questo
fallimento. In tal modo i meridionali vengono privati non solo della libertà di
poter decidere del proprio destino che solo un reddito decente, una buona
istruzione, la fruizione di diritti collettivi e personali possono consentire. “Sono
privati anche della verità: un rigoroso discorso analitico che permetta di
capire perchè sono giunti a questo punto, in base a quali ragioni, ed
eventualmente per responsabilità di chi” (p.8). L’A. ha l’ambizione di
contribuire a costruire e restituire quel racconto veritiero della questione
meridionale e sui divari regionali che forse manca.
E’
un libro di storia economica, perchè di economia innanzitutto si tratta quando
si parla di arretratezza del Mezzogiorno e la storia è il terreno in cui la
spiegazione può essere trovata. Perciò si analizzano nel volume le ragioni
storiche per cui tanto in termini di Pil pro-capite, quanto con riferimento
agli indicatori sociali (istruzione, speranza di vita, sviluppo umano) e civili
(diritti di libertà tanto politica che personale) l’Italia si presenta ancor
oggi divisa in due. Facendo riferimento alla fondamentale discussione circa le
cause della ricchezza delle nazioni e dei divari dello sviluppo, che risale
almeno a Montesquieu e Adam Smith, è possibile definire i fenomeni storici e
sociali per quello che sono: l’arretratezza, ma anche il privilegio e la
disuguaglianza, che costituiscono le coordinate che forniscono la risposta alle
domande del libro.
L’A.
prova anche a smontare alcuni stereotipi che circolano, le risposte facili alla
grande domanda perchè il Sud è rimasto indietro per centocinquanta anni: la
risposta assolutoria nei confronti
dei meridionali, che fa leva su presunte differenze genetiche di origine remota,
ma anche sulla carenza di capitale sociale che risalirebbe all’epoca
tardo-medievale. La risposta assolutoria,
che accusa il Nord di aver sfruttato il Sud, o invoca la “malasorte”
essendo il suo territorio geograficamente svantaggiato o l’avverso gioco degli
eventi. Se questi due tipi di risposte non sono convincenti, per arrivare al
cuore della questione, secondo il Nostro, occorre guardare all’interno del Sud Italia: la distinzione da fare non è quella tra
meridionali e settentrionali, ma tra quanti all’interno della società
meridionale hanno migliorato la loro posizione godendo di rendite e privilegi e
quanti invece si sono ritrovati vittime dell’iniquo assetto socio-istituzionale
del Mezzogiorno.
Di
qui l’accusa che l’A. formula nei confronti delle classi “dominanti” del
Mezzogiorno. Imputa loro di aver deliberatamente ritardato lo sviluppo
economico e civile del Mezzogiorno a vantaggio dei propri interessi. “Chi ha soffocato
il Mezzogiorno sono state le sue stesse classi dirigenti – una minoranza
privilegiata di meridionali – che ne hanno orientato le risorse verso la
rendita più che verso gli usi produttivi, mantenendo la gran parte della
popolazione nell’ignoranza (come evidenziato da tutti gli indici di istruzione
e capitale umano) e in condizioni socio-economiche che favorivano comportamenti
opportunistici (come ci dicono le stime sul capitale sociale)” (p.12).
L’A.
propone un approccio socio-istituzionale del mancato sviluppo del Mezzogiorno:
da una parte rifacendosi ad un filone di studi in ambito internazionale secondo
il quale a fare la differenza è la qualità delle istituzioni, politiche ed economiche, che possono essere inclusive favorendo il coinvolgimento
dei cittadini e con la crescita economica anche lo sviluppo umano e civile;
oppure estrattive, finalizzate ad
estrarre rendite per una minoranza di privilegiati. Dall’altra riservando
maggiore attenzione alla stratificazione sociale delle due Italie, cioè alla
disuguaglianza interna alle regioni italiane come presupposto storico
condizionante i diversi percorsi istituzionali: è stata la più alta
sperequazione dei redditi e delle ricchezze che ha determinato nel Mezzogiorno
il prevalere di istituzioni estrattive. Nell’articolazione di potere interna al
Mezzogiorno, la responsabilità ricade sulle classi dirigenti che hanno
incarnato e sorretto quelle istituzioni, accaparrando benefici e risorse, per
l’interesse a mantenere l’economia e la società involute nella modernizzazione
passiva.
Da
questa spiegazione socio-istituzionale del mancato sviluppo del Mezzogiorno
deriva anche una strategia per superare la questione meridionale. La strategia
giusta sarebbe di puntare a modificare
radicalmente la società meridionale, spezzando le catene socio-istituzionali
che la condannano all’arretratezza. “Riconvertire cioè le istituzioni del Mezzogiorno da
estrattive a inclusive passando per la trasformazione delle strutture
sottostanti” (p.14).
Bisogna
rilevare che nelle pagine finali di questa ricerca, l’A. salvo qualche barlume
non sembra convinto che sia in atto quel profondo processo di trasformazione
delle istituzioni economiche e politiche del Sud ‘Italia, in direzione
dell’evoluzione da estrattive a inclusive, che comporterebbe cambiamenti allo
stesso modo radicali nei rapporti
sociali e nella mentalità. Da uno studio analitico forse non ci si può
aspettare di più, il resto appartiene alla politica o meglio all’agire
“politico” dei cittadini per l’affermazione di
strutture e mentalità inclusive e la formazione di nuove classi
dirigenti, nell’incontro/scontro su interessi e valori nel complesso della
società.
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