LA MESSA PIU' GRANDE DELLA STORIA. MA NON CONTANO I NUMERI


La Messa più grande della storia è stata definita quella celebrata da Papa Francesco a Manila al termine del suo viaggio nelle Filippine per la partecipazione di sette milioni di fedeli (sic!), una grande macchia osservata dall’alto che riempiva grandi viali e spazi. L’aspetto quantitativo serviva ai media per misurare la straordinaria partecipazione dei cattolici filippini all’evento religioso, o più specificamente la capacità aggregativa della chiesa cattolica nelle Filippine o se si vuole il consenso che riscuote. A nostro avviso erano più significativi i volti di partecipanti in preghiera segnati da sofferenze nella carne per catastrofi naturali e miserie sociali, e speranze, veri celebranti insieme con papa Francesco, che denotavano l’apertura e la presenza del divino che portavano nelle loro vite, colti a sprazzi anche dalle Tv. Una Messa di popolo. Al di là delle cronache delle giornate papali nelle Filippine, è opportuno qualche approfondimento o valutazione di messaggi ed immagini veicolati dai vari media in questa occasione.

La chiesa cattolica nel bene e nel male negli ultimi decenni del secolo scorso e all’inizio del ventunesimo è entrata nel circuito dei media con la precisazione specialmente nel nostro paese che ospita la città del Vaticano ed i suoi abitanti. Non c’è solo Tv2000 e la Radio vaticana, ma lo spazio che i nostri media, specialmente i canali televisivi, danno ai viaggi e messaggi papali e meno alla vita della chiesa cattolica italiana, come ai vari leader politici al vertice di popoli e nazioni, cioè alle posizioni apicali. Non solo a scopo di informazione di un popolo in gran parte cattolico per iscrizione battesimale, ma per i messaggi religiosi e morali che controbilanciano i buchi neri della vita pubblica e privata del nostro paese. Si potrebbe pensare anche per l’autorità morale di chi siede sul soglio di Pietro, per il possesso di una riconosciuta leadership secondo caratteristiche personali, e per la capacità di proporre orientamenti per la vita privata e pubblica. Al di là degli entusiasmi generati in grandi eventi religiosi su piazza S. Pietro o meno, resta da verificare quanto effettivamente questi orientamenti modellino la vita dei partecipanti una volta finita la Messa: Ite Missa est...si diceva una volta.

E’ chiaro che questi eventi religiosi non solo cattolici hanno una finalità di rinsaldare e celebrare pubblicamente una identità ed appartenenza religiosa, il popolo presente a questi eventi è certo attore insieme al celebrante ma al di là di canti e preghiere e di qualche testimonianza non è chiamato ad esprimersi come in tante Messe nostrane. Ci si aspetta la dritta da qualcun altro, per poi continuare a vivere secondo modelli interiorizzati nella socializzazione anche religiosa, o per i giovani dai modelli proposti dai media o dal gruppo dei pari, data la percezione di poca significanza di una tradizione religiosa. Il problema di fondo non è un insegnamento ex cathedra più o meno illuminato, ma una più approfondita conoscenza anche culturale del credo cristiano e sopratutto la formazione di un’opinione pubblica nella chiesa anche italiana pena l’irrilevanza. Una libertà di espressione su problemi nodali come sollecitata per esempio da papa Francesco ai cardinali in occasione del Sinodo sulla famiglia in vaticano. Come affermava il cardinal Martini si auspicano “cristiani pensanti”.

Un ultima osservazione sulla comunicazione di eventi religiosi non può ignorare altre grandi religioni del pianeta che mobilitano in determinate occasioni milioni di fedeli, come l’Islam per il pellegrinaggio alla Mecca, o l’induismo in determinate festività, che a noi sembrano folkloristiche ma rappresentano tentativi di elevarsi al divino.
Sul piano valutativo della cosiddetta Messa più grande della storia non possiamo non rilevare che la Cena del Signore, l’alleanza questa sì di Cristo con tutta l’umanità, non può essere ridotta a termini quantitativi secondo centinaia, migliaia, milioni di partecipanti o meno. La Cena pasquale è stata un convivio con gli apostoli, invito ad una memoria di comunione all’evento della Pasqua di croce e resurrezione, una memoria sovversiva di tutti gli accomodamenti e delle ferite alla fraternità umana.

Ci sembra in conclusione che l’aspetto “plateale” non si addica alla celebrazione della Cena del Signore anche se non si può evitare in determinate occasioni l’occhio della televisione.

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