LES NAPOLITAINS SECONDO MARCELLE PADOVANI


Marcelle Padovani, nota giornalista e scrittrice francese, corrispondente del Nouvel Observateur a Roma che ha dedicato otto libri all’Italia e reportage sulle stesse vicende napoletane come quella dei rifiuti, nel prezioso volumetto Le Napolitaines. Lignes de vie d’un peuple (HDateliers henry dougier, Paris 2014) compie quello che sulla scia del Grand Tour definisce “un petite tour” a Napoli in seguito ad una permanenza di più di due mesi nella città partenopea. In un'unica tessitura sono ritratti 22 napoletani, ed altrettanti incontrati, scandita in undici capitoli che, alla presentazione del volume a Napoli il 12 gennaio all’Institut Francais, sono stati definiti autentiche gouaches di altrettante Lignes de vie d’un peuple, centrate sulla vita reale della gente. Non a caso sulla copertina è ritratta la mano di Alessandro, un napoletano di 38 anni, attraversata da numerose linee che richiamano siti e luoghi, una sorta di cartografia aperta che svela le linee di vita di Napoli. Il libro a metà tra letteratura e sensibilità antropologica “scopre” Napoli nel senso letterale del termine e se si vuole fa scoprire Napoli ai napoletani nativi e a quelli immigrati per varie ragioni.

Come afferma la stessa Autrice: "A Napoli ho scoperto il relativismo dei concetti: qui il concetto di miracolo non è affatto antagonista della ragione, la sofferenza produce cultura, il confine tra illegalità  e legalità non è quello a cui siamo abituati in Europa. Per me francese, cartesiana, è stata uno choc emotivo, ma anche una lezioni di vita. Qui ho ritrovato l’essenza della coscienza occidentale". Marcelle non si è contentata di dialogare con alcuni testimoni privilegiati, ma nella sua permanenza partenopea si è immersa nella realtà dei quartieri, dai quartieri spagnoli alla Sanità, che interpreta con finezza antropologica ed empatia. E’ stata capace di cogliere in profondità il diffuso non solo tra ceti popolari “malheur de vivre”, la sfortuna di vivere, la sofferenza,  il dolore di vivere per secoli di vicende che hanno pesato sulla vita dei ceti meno privilegiati, donde deriva il rapporto speciale con la morte, vissuta non come trauma ma fine  del dolore di vivere. E la maschera, impersonata da Pulcinella, nella commedia della vita per darsi una identità, per essere qualcuno, l’ironia che prende le distanze dalle vicende della vita, la sofferenza che produce cultura in alcuni  che sono usciti dal  carcere e da gironi di morte.

Il confine tra legalità ed illegalità senza scandalo è percepito come fluido e mobile, avvertendo che illegale o irregolare non sempre è equivalente a criminale, specialmente per le “piccole illegalità”. Sconcertante le appare il messaggio di Tommaso Cottone, Procuratore della Corte dei Conti, che in termini estremamente semplificati  osserva: "Qui non c’è, come altrove, una chiara separazione tra buoni e cattivi, tra legale ed illegale, la situazione è più complessa". Non si sforza di comprendere l’illegalità, ma quelli che scelgono certe forme di illegalità perché non hanno altre soluzioni, e che in qualche modo suppliscono a carenze “ufficiali”, come il posteggiatore abusivo, che controlla il flusso di vetture davanti ad un ospedale ed altri esempi del genere. Si tratta secondo il Magistrato con buon senso pragmatico di trovare forme parziali e progressive di controllo di traffici illegali, rafforzando nel contempo la cultura della legalità.

Un’altro tema su cui l’Autrice porta l’attenzione fin dall’inizio è l’atomizzazione della società civile napoletana, gruppi o cricche che dir si voglia che non comunicano tra di loro, chiusi nel proprio mondo,  come le monadi di Leibnitz, che non è da richiamare al “Familismo amorale” di Banfield, ma ad una frantumazione dei gruppi e degli interessi e all’indebolimento delle grandi solidarietà a cui non può sopperire il Terzo settore o l’azione volontaria.

E’ aperto il problema di come siano stati assimilati in maniera critica o meno  i portati della globalizzazione e secolarizzazione nella post-modernità, sia in senso materiale che culturale, a quale forme di meticciato abbiano dato luogo, tra i canti dei neomelodici e gli iPad incessantemente cliccati in strada ed in treno. Cioè  di glocalizzazione partenopea.


P.S. Dimenticavo che con Gerardo Marotta sono stato ritratto in un capitoletto dedicato a due grandi vecchi, uno che non crede e uno che crede (con qualche dubbio). Bontà di Marcelle Padovani.

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