Renzi oltre tweet e hashtag
tratta da iljournal.today |
Al di là delle
discussioni e polemiche seguite all’approvazione dei decreti attuativi del cosiddetto
Jobs Act, interne ed esterne allo
stesso PD, che investono la stessa leadership del premier nei rapporti con il
Parlamento, si avverte l’esigenza di rivolgere l’attenzione non solo alla
comunicazione politica ma ai modelli economici e politici che sottendono gli
orientamenti e le decisioni del Premier Renzi e del suo governo, cioè la sua
governance. Non bastano né i dissensi manifestati dalle minoranze PD, né le difese d’ufficio dei sottosegretari
Guerini e Serracchiani, o i tweet e discorsi dello stesso Renzi, per
non restare imbambolati dall’arcobaleno dopo la pioggia che preannuncia tempi migliori per l’economia
del paese. Si tratta di entrare nel backstage della scena politica per svelare
personaggi e modelli che sono impersonati nelle politiche di governo, se non
visioni dell’economia e della società.
In primo luogo, a
nostro avviso, non è senza significato sul piano delle affinità – a fior di
pelle - la scarsa vicinanza del Nostro con il mondo dei lavoratori dipendenti e
l’umiliazione a più riprese della più
grande organizzazione sindacale italiana con milioni di lavoratori e pensionati
da rottamare che costituirebbe un ostacolo sul cammino delle riforme per il
settore de lavoro. Pur avendo visitato diverse realtà produttive d’avanguardia del
paese da esibire come esempio e stimolo. Nel contempo non è stata riattivata
come modalità per la formazione delle decisioni la concertazione con le parti
sociali che impedirebbe la rapidità delle decisioni. D’altra parte, non sembra
che eguale atteggiamento di rimbrotti e richiami sia stato riservato alle
rappresentanze degli imprenditori. A parte il recente richiamo che dopo il
completamento legislativo del Jobs Act gli imprenditori non hanno più alibi per
investire (e prima?). Si evidenzia nell’ottica del superamento della crisi una
strategia che ha privilegiato l’impresa e gli investimenti nell’impresa per
favorire l’occupazione più che la valorizzazione del lavoro e la difesa dei
diritti dei lavoratori.
Considerazioni
ulteriori di carattere generale e macroeconomico: qualunque sia il punto di
partenza di valutazione di questa riforma del mercato del lavoro, non si può
negare che complessivamente faciliti i licenziamenti individuali e collettivi
nello scambio tra nuova occupazione anche a tempo indeterminato e possibilità
di licenziamento a certe condizioni. Nella società dell’informazione, per la
crescita è noto che bisogna puntare sulla competitività, sulla produttività e
qualità del prodotto e sopratutto sulla conoscenza e la ricerca avanzata. A
parte le misure di carattere macroeconomico per uscire dalla crisi del nostro
governo, rimane la chiara affermazione dell’On. Prof. Ichino che con questa
riforma il nostro paese si allinea alle altre economie europee, cioè alla
grande flessibilità in entrata e in uscita nel mercato del lavoro. Un
allineamento anche se con tutele crescenti di carattere economico per le
diverse forme di licenziamento. Si configura una liberalizzazione accentuata
del mercato del lavoro in riferimento ai cambiamenti del mercato e all’esigenza
di rapido adeguamento da parte delle
imprese.
Induce poi a riflettere
un’accusa rivolta alle minoranze del PD che mette in campo la scarsa modernità
di visione delle cosiddette sinistre del PD, che riprende la doxa renziana nel commento alla nuova edizione della noto saggio di
Norberto Bobbio “Destra e sinistra”, cioè le dicotomie
conservazione/innovazione, che poi si completa con quella di velocità/lentezza,
di cui in un precedente post. La querelle non si può esaurire nel rimando a
misure di sinistra o di destra: si tratta di chiarire di quale modernità si
tratta, se quella dell’adeguamento e subordinazione al mercato capitalistico
globale o della modernità della persona e dei suoi diritti secondo lo spirito
delle grandi rivoluzioni europee politiche, sociali e culturali e le conquiste
dei movimenti dei lavoratori da inverare nell’oggi, secondo gli effettivi
equilibri di potere.
L’altro aspetto di
una presunta modernità riguarda il riconoscimento della leadership e non solo
della premiership di Renzi (da non sovrapporre) che giustificherebbe decisioni
che non tengono conto di pareri del Parlamento, e allora di quali altri
soggetti sociali? Per definizione la leadership può essere carismatica,
democratica, autoritaria e non solitaria. In un precedente post abbiamo fatto
riferimento ad un Renzi “Dictator democratico”. Siamo certo in presenza di una
personalizzazione della politica non solo in Italia, che non può ignorare a
diversi livelli le modalità democratiche di consultazione, partecipazione,
legislazione. A meno che non si voglia introdurre l’altra dicotomia per la
rapidità della realizzazione delle riforme a lungo attese, velocità/lentezza.
In conclusione, con
questa riforma del mercato del lavoro, si tratta di adeguamento all’economia capitalistica
globale, o di vera innovazione per la crescita economica, sociale, umana cioè
delle persone umane non solo nell’attività lavorativa. Oltre un’impostazione pragmatica,
si avverte l’esigenza di una visione, di un umanesimo secondo il carisma - questo
sì - del predecessore sindaco fiorentino La Pira, per la nostra società.
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