Fuoritempio/1 - Una rivelazione tra luce e tenebre

di Domenico Pizzuti e Giacomo D'Alessandro
Pubblicato su Adista Notizie n° 42 del 05/12/2015

Anno C, 3 gennaio 2016, II domenica dopo Natale
Sir 24,1-2.8-12 | Sal 147 | Ef 1,3-6.15-18 | Gv 1,1-18

E il Verbo si fece carne

e venne ad abitare in mezzo a noi;

e noi vedemmo la sua gloria,

gloria come di unigenito dal Padre,

pieno di grazia e di verità.

Giovanni gli rende

testimonianza

e grida: «Ecco l'uomo di cui io dissi:

Colui che viene dopo di me

mi è passato avanti,

perché era prima di me».

Dalla sua pienezza

noi tutti abbiamo ricevuto

e grazia su grazia.

Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,

la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.

Dio nessuno l'ha mai visto:

proprio il Figlio unigenito,

che è nel seno del Padre,

lui lo ha rivelato.


In questa seconda domenica dopo Natale il brano del libro del Siracide sulla Sapienza, ma ancora di più il prologo del Vangelo di Giovanni sul Logos ci portano a sottolineare il carattere di “rivelazione”.
Da una parte si evoca la Sapienza «dell'Altissimo» che pone la sua tenda, la sua dimora, nel popolo eletto, prima dei secoli. Dall'altra l’evangelista Giovanni mette in risalto la prossimità del Logos con Dio, fin dalle origini. Una rivelazione non astratta ma concreta: si compie nella persona di Gesù, in cui il Logos si manifesta e alla quale l’essere umano risponde; rivelazione e fede. Ed è un Gesù incarnato, colto nel suo aspetto di rivelazione e salvezza, il quale dà la vita, la grazia, la filiazione divina, la nascita da Dio. Giovanni svela quel paradosso della fede cristiana che è la distinzione tra il Figlio e il Padre, la relazione tra Logos e carne, tra divinità e umanità di Gesù, entrambe reali, piene.
Gesù porta in sé il Logos (la volontà di salvezza di Dio per l'essere umano) che si fa carne nella nostra storia.
Nel testo del Vangelo – allo stesso tempo semplice, poetico ed epico – vive poi lo scontro tra rivelazione ed incredulità, tra Luce e rifiuto della Luce da parte dei «suoi». È la stessa cornice entro cui si svolge drammaticamente il racconto evangelico, il disconoscimento e la chiusura all’accoglienza del Dio fatto uomo. Secondo Giovanni, la Luce vera che si è manifestata nel mondo illumina ogni esere umano, e rende possibile a quanti lo accolgono di diventare figli di Dio. Una filiazione universale da accogliere, rispettare e realizzare anche oggi da parte di ciascuno di noi. Ha qualcosa a che fare con l'invocazione laica “Liberté, égalité, fraternité”, riproposta nuovamente da migranti e profughi che cercano una vita migliore sulle nostre sponde d’Europa?
Dobbiamo affidarci a ciò che conosciamo, perché se «Dio nessuno l'ha mai visto, il Figlio... lo ha rivelato». Non ci è richiesto di credere ciecamente in una entità oltre la nostra comprensione, possiamo dare fiducia a un uomo in carne ossa e spirito, il quale porta la volontà e la testimonianza del Padre. Qui sta il nostro impegno per la giustizia nel mondo e la vita piena dell'umanità.
Ma dobbiamo anche restare aperti a ciò che possiamo credere, sperare, intuire, sperimentare interiormente, quel “di più” che nel silenzio percepiamo nella comunione dell'universo. Qui sta la nostra fede e preghiera, il nostro alimentare una speranza “contro ogni speranza”, a favore del nostro impegno per la giustizia e la vita piena dell'umanità.
L’evangelista Giovanni celebra una certezza: «La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno vinta». La battaglia è continua tra chi persegue un bene comune, universale, e chi con le sue azioni ottiene di togliere del bene dagli esseri umani e dal mondo. Luce e tenebre, entrambi sono. La luce splende. Le tenebre le sono attorno, ma non l'hanno vinta una volta per tutte. Saper vedere “dentro e oltre” il buio, qui sta la nostra fede, la nostra speranza di serbare “grazia su grazia” e di vivere in “pienezza”.

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