Diaconato femminile, studiare o sperimentare?
Martedì 2 agosto, al ritorno dal viaggio in Polonia, papa
Francesco ha creato la
preanunciata Commissione di
studio sul diaconato delle donne nella chiesa primitiva, presieduta dal
segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, il gesuita L.F.
Ladaria Ferrer, e composta secondo la parità
di genere da sei studiose
donne e sei studiosi uomini.
Consideriamo il
senso della richiesta, avanzata al papa dalle Superiori generali degli
ordini religiosi femminili, che non riguarda solo le religiose in riferimento
ai loro servizi nella Chiesa – la diaconia di
fatto esercitata -, ma in
generale l’accesso delle donne al diaconato permanente, finora riservato a
uomini sposati e non, con
le funzioni di proclamazione e predicazione del Vangelo nella Chiesa,
preparazione e amministrazione dei sacramenti, servizio ai poveri e così via.
La richiesta riguarda solo l’ordinazione al diaconato permanente,
che può rimanere tale come per gli uomini, e non costituire un passo verso il
sacerdozio femminile (come fosse inaudito e da non sollevare nella Chiesa
Cattolica). Evidentemente gruppi ed élite religiose, specialmente nelle società
occidentali, - in consonanza con una maggiore partecipazione delle donne alla governance della Chiesa intrapresa dal papa e con la crescita
di partecipazione e parità di genere nella società -, hanno maturato da tempo
questa consapevolezza di poter annunciare e predicare il Vangelo nelle
celebrazioni liturgiche, come in situazioni di missione.
Allo stesso tempo va rimarcato che simili richieste negli ultimi
decenni, per quieto vivere
ecclesiastico, non sono state avanzate dai cosiddetti nuovi “movimenti
religiosi” a carattere laicale, per quanto a volte si siano dati governance
o direzioni femminili. Non deve sfuggire la portata dirompente di una simile
aspettativa, in riferimento alla gestione
secolare maschile del sacro,
per la partecipazione diaconale femmminile nelle celebrazioni liturgiche e
nella vita della chiesa, e per le resistenze che si possono manifestare.
E' grazie a questo gesto che si riapre la questione portando
alla costituzione di una Commissione per uno studio storico circa l’esistenza e
le modalità del diaconato femminile nella chiesa
primitiva. L'istanza riguarda il “presente”, ma si guarda “al passato” per
trovare tra le pratiche (a nostro avviso non “tradizioni” di fede)
legittimazione e sicurezza. E intanto appare già il “futuro” della chiesa una
pratica religiosa maggioritaria
delle donne nelle nostre
società occidentali, e del loro apporto non solo nella socializzazione
religiosa, ma nella cultura e nella teologia come teologhe e bibliste.
Nella “tradizione”
di esclusione delle donne dal
diaconato permanente può essere utile il riferimento al concetto sociologico di
“invenzione della tradizione” o di “tradizione inventata”, “un insieme di pratiche, in genere
regolate da norme apertamente o tacitamente accettate, e dotate di una natura
rituale o simbolica, che si propongono di inculcare determinati valori e norme di comportamento ripetitive nelle quali è
automaticamente implicita la continuità col passato, un passato storico
opportunamente selezionato [...] in larga misura fittizio” (Eric
J.Hobsbawm, 1983). Tali invenzioni, sotto il profilo sociale e antropologico,
hanno il senso di stabilire o simbolizzare l’appartenenza a determinati gruppi,
conferire legittimazione e fondamenta a determinati status, gerarchie sociali o rapporti di autorità, come nel
caso in discussione. Spetta all’indagine storica decodificare “tradizioni
inventate” e pratiche ripetitive in risposta a determinate situazioni storiche, per aprire il passo all’“invenzione di tradizioni” di
fronte alle nuove esigenze della vita ecclesiale e sociale. Si tratta
prioritariamente di chiarire il frame o cornice di credenze, valori e norme
che guidano la stessa ricerca storica, per non rimanere prigionieri di
“tradizioni inventate”. L’indagine storica infatti ha di sua natura carattere
conoscitivo e non normativo, come per tutte le scienze sociali, e una ricerca
dipende dalle domande - pertinenti e oneste o meno - che sono poste alla
realtà.
In una discussione aperta che deve coinvolgere non solo gli
esperti ma le varie realtà ecclesiali, occorre aprire le menti al servizio del diaconato femminile, al di là di
subordinazioni secolari alla gestione maschile del sacro religioso, e costruire
o far emergere la disponibilità alla predicazione del Vangelo da parte delle
donne, come augurato dalle Superiori generali degli ordini religiosi femminili.
La nostra tesi è che occorre certo indagare e studiare, ma secondo le
situazioni, le disponibilità, le vocazioni che si manifestano creativamente, soprattutto occorre “sperimentare” i servizi di questo diaconato anche se
non ancora istituito.
Al di là dei risultati di studi e decisioni occorre guardare
all’interno della vita della Chiesa per far
emergere le diaconie già
vissute dalle donne nella proclamazione e predicazione del Vangelo: in comunità
cristiane, movimenti, gruppi ecclesiali e di spiritualità; e riconoscere quante
“vocazioni” vi siano a questo diaconato da parte di molte donne che apportano
nuove sensibilità e ricchezze spirituali. Non è solo questione di “eguaglianza
di genere”, ma sostanzialmente di riconoscimento dell’eguale dignità femminile come immagine di Dio e grembo di vita e del divino. Si
tratta di un riconoscimento alla luce della parola biblica, di una riparazione per l’esclusione
del passato, di un arricchimento religioso a nome della coppia uomo e
donna, in un mondo in cui le donne ricoprono ruoli apicali nell’economia, nella
politica, nelle diverse istituzioni sociali.
L’accesso delle donne all’esercizio del sacerdozio è già avvenuto in altre confessioni cristiane,
e non è caduto il mondo, anzi con vantaggio, e tutti abbiamo visto donne di
confessioni evangeliche portare il colletto clericale come sacerdoti o vescovi.
Il giorno in cui è stata sollevata la richiesta del diaconato permanente alle
donne, abbiamo concluso nella chiesa di S.Maria della Speranza a Scampia un
percorso biblico sulla misericordia nel Vangelo di Luca, raccolti in cerchio e
guidati da una preparata biblista napoletana. “Si puote”, superando l’aura sacra che avvolge le funzioni ecclesiali;
per ricondurle ad una comunità di uomini e donne che celebra fraternamente i
“misteri della fede” attorno alla mensa della parola e del pane di vita.
Sapranno i maschietti ecclesiastici fare un passo di lato per fare
posto a donne vocate e preparate come compagne
nella diaconia ecclesiale,
dopo secoli di esclusione, e con apertura e lungimiranza preparare le comunità
a questa dimensione? “Vere dignum et iustum est” istituire e preparare
questo diaconato permanente femminile come ricchezza e risorsa per la vita della
chiesa. Donne diacone e
sacerdotesse per la Chiesa
che verrà.
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