Francesco apre spazi, tocca a noi cambiare

di Giacomo D'Alessandro


Mi piace mettere in luce tre metodi d’azione propri del Bergoglio che stiamo conoscendo, e potenzialmente replicabili in qualsiasi comunità umana. 

Il primo è la ricerca della cosiddetta collegialità: un metodo decisionale che si fonda sulla consultazione con più parti in causa/posizioni possibili, praticando l’ascolto (non l’equilibrismo politico o l’opportunismo). E cercando una sintesi che faccia “maturare” più persone possibili senza lasciare indietro brutalmente quelle meno “sveglie” e meno “capaci di maturare”.

La seconda è quella del discernimento: dopo secoli si sta istituzionalizzando il superamento delle “norme” a favore di un “approfondimento” caso per caso, stante un valore di fondo ideale; questo aspetto non riguarda solo i presunti regrediti gruppi religiosi e i loro catechismi “si può/non si può”, ma è lo stesso che nella società dovrebbe spingere allo sviluppo della coscienza personale e collettiva, più che alla sudditanza a leggi e regolamenti.

Il terzo metodo è quello socio-politico di fare da “area franca” per i Movimenti Popolari della Terra, quell’insieme di realtà anticapitaliste che dal disastro del G8 di Genova non hanno più avuto nè la forza nè la legittimazione nè la spinta a riunirsi per “generare” trasversalmente correnti antisistema. In particolare elaborando pressioni e visioni sui 3 pilastri essenziali per i diritti umani: casa, terra, lavoro per tutti.
Basta leggersi i discorsi del Papa a questi Movimenti per intuire la portata politica globale di un modo di essere chiesa che deriva dall’America Latina, dalle teologie della liberazione, da un modo di vivere, pensare e agire che in Europa ci coglie poco preparati, attorcigliati ai nostri ragionamenti e alle nostre stanche enclave intellettualoidi. Una persona che parla al mondo, nella posizione in cui è, di “terrorismo del denaro“, sta chiaramente cercando di scardinare interi sistemi culturali (sia nella chiesa sia soprattutto fuori). E non da sola, ma soltanto manifestando un mondo ecclesiale e sociale che esiste da decenni ed è sempre stato tenuto ai margini.

Aspettarsi che questa stessa persona da un giorno all’altro scardini e riformi qualsiasi criticità esistente nell’ambiente ecclesiastico significa non conoscere il contesto in cui si trova (i suoi tempi, le sue componenti, i margini realistici di cambiamento efficace), e indebolirne – non rafforzarne – il percorso riformista. I poteri vanno sempre criticati, perché “non ci sono poteri buoni”. Ma distinguendo gli atti che sono “a servizio della comunità” da quelli che sono “espressione del potere”. E ancora di più considerando che, come lo stesso Bergoglio ha detto in una delle prime interviste, la chiave del suo lavoro è riformare: ma una riforma efficace in una comunità fatta da diverse sensibilità è lenta, profonda, maturata, assestata, non un pugno di forza. Perché domani il pugno di forza avrà generato il rigurgito conservatore che lo annullerà… Bergoglio sta aprendo terreni di confronto pluralistici a tantissimi livelli, perché il cambiamento trovi spazio, ma sia anche una maturazione condivisa e duratura, non una velleità imposta dal sovrano assoluto del momento.

Dopodiché, spetta sempre e comunque al “popolo” vivere praticare e maturare le devianze che innovano. Questo è fondamentale. Fare il tifo per il potente illuminato di turno, nelle chiese come nella politica, come se dipendesse tutto dal leader, è un ottimo alibi per restare tifosi o detrattori senza cambiare la propria vita e la propria comunità. Mentre parliamo, dobbiamo stare cambiando noi le cose, al meglio che possiamo, nel piccolo. Altrimenti possiamo aspettare il Mago SuperUomo tutta la vita, e mai nessuno ci andrà bene al 100%…

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