Napoli con le porte chiuse


Nelle scorse settimane ho avuto una poco gradevole presa di coscienza. Mi riferisco al servizio con il Comitato campano con i Rom per la promozione dei diritti delle popolazioni Rom residenti nell'area napoletana e campana. Dall'autunno 2015 a più riprese abbiamo chiesto al Presidente e ai dipartimenti della Regione Campania la convocazione del tavolo regionale per programmare il superamento delle degradanti baraccopoli Rom; come prevede la "Strategia Nazionale d’Inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti 2012-2020. Attuazione Comunicazione Commissione Europea n.173/2011". Senza avere risposta alcuna. 

Rimangono dichiarazioni sbrigative e rozze di “svuotamento” dei campi Rom senza vere alternative - fin dall’inizio del suo mandato - da parte del Presidente Vincenzo De Luca, quasi si trattasse di balle di rifiuti da rimuovere perché inquinanti, e non di minoranze riconosciute e protette da numerosi documenti della Commissione Europea. Per la programmazione di interventi simili il Parlamento nel novembre 2016 ha assegnato alla Prefettura di Napoli 16 milioni di Euro in funzione del completamento di lavori programmati.

Vista l’assenza di dialogo da parte dell’Assessore al Welfare del Comune con associazioni e comitati, negli scorsi mesi abbiamo chiesto più volte di essere ricevuti per un aggiornamento e confronto sulle politiche comunali a favore delle popolazioni Rom del territorio. Senza vere motivazioni sistematicamente non siamo stati presi in considerazione. Non brucia tanto un rifiuto personale, quanto una grave lesione dei rapporti tra cittadini e istituzioni su problemi di comune interesse, che non fa ben pensare all'elaborazione di efficaci politiche sociali. Esistono campi in precarie condizioni abitative, come esistono associazioni operanti esperte e rappresentanze degli stessi Rom. A meno che, attraverso progetti e bandi, non sia stata realizzata una “cooptazione” più o meno intenzionale di associazioni, comunità e centri, che indebolisce ogni sincera partecipazione, selezionando i partner ammessi a Palazzo San Giacomo.

Queste porte chiuse da parte di Amministrazioni locali a cittadini e comitati hanno dato luogo non tanto ad un’amara consapevolezza di rifiuto di fronte ad aspettative di trasparenza, ma più gravemente a chiusura ed impermeabilità del sistema politico alla partecipazione dei cittadini accanto al perseguimento di politiche non chiare né verificate. Nel caso dei campi Rom a Napoli, lungo gli anni si è trattato prevalentemente di rincorse emergenziali derivanti da provvedimenti di sequestro e sgomberi giudiziari, formalmente ineccepibili, ma non coerenti con disposizioni e normative nazionali ed europee. 

Un volantino è stato distribuito il 27 gennaio scorso al presidio di Centri e Comitati cittadini “Solidali” davanti alla Prefettura di Napoli. Erano presenti alcune famiglie Rom dei campi di via Brecce a Sant’Erasmo, sotto la spada di Damocle di sgombero dalla primavera 2016, circa 1300 Rom romeni con 450 minori, e nell'attesa oggetto di incomprensibili intimidazioni lesive di diritti umani e già denunciate. Il volantino osservava che a Napoli ed in Campania “nessuna istituzione si è mai preoccupata di progettare una seria politica abitativa per uscire dalla politica dei ghetti”, che è la sola alternativa da perseguire.

In riferimento alla complessità e dimensione della “Questione Rom” nell’area napoletana, in particolare alle incertezze che gravano sulle famiglie dei campi sopracitati, la svolta può avvenire a discrezione del sindaco Luigi De Magistris, in occasione dell'incontro già programmato con rappresentanti dei Rom e di Associazioni, Centri e Comitati, per una chiarificazione degli intenti e delle risposte attese.

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