Emorragia religiosa

dal Discorso di Papa Francesco alla plenaria della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica - sabato 28 gennaio 2017



Siamo di fronte ad una “emorragia” che indebolisce la vita consacrata e la vita stessa della Chiesa. Gli abbandoni nella vita consacrata ci preoccupano. È vero che alcuni lasciano per un atto di coerenza, perché riconoscono, dopo un discernimento serio, di non avere mai avuto la vocazione; però altri con il passare del tempo vengono meno alla fedeltà, molte volte solo pochi anni dopo la professione perpetua. Che cosa è accaduto?
Come voi avete ben segnalato, molti sono i fattori che condizionano la fedeltà in questo che è un
cambio di epoca e non solo un’epoca di cambio, in cui risulta difficile assumere impegni seri e
definitivi. Mi raccontava un vescovo, tempo fa, che un bravo ragazzo con laurea universitaria, che
lavorava in parrocchia, è andato da lui e ha detto: “Io voglio diventare prete, ma per dieci anni”. La
cultura del provvisorio.

Il primo fattore che non aiuta a mantenere la fedeltà è il contesto sociale e culturale nel quale ci muoviamo. Viviamo immersi nella cosiddetta cultura del frammento, del provvisorio, che può condurre a vivere “à la carte” e ad essere schiavi delle mode. Questa cultura induce il bisogno di avere sempre delle “porte laterali” aperte su altre possibilità, alimenta il consumismo e dimentica la bellezza della vita semplice e austera, provocando molte volte un grande vuoto esistenziale. Si è diffuso anche un forte relativismo pratico, secondo il quale tutto viene giudicato in funzione di una autorealizzazione molte volte estranea ai valori del Vangelo. Viviamo in società dove le regole economiche sostituiscono quelle morali, dettano leggi e impongono i propri sistemi di riferimento a scapito dei valori della vita; una società dove la dittatura del denaro e del profitto propugna una visione dell’esistenza per cui chi non rende viene scartato. In questa situazione, è chiaro che uno deve prima lasciarsi evangelizzare per poi impegnarsi nell’evangelizzazione.

A questo fattore del contesto socio-culturale dobbiamo aggiungerne altri. Uno di essi è il mondo giovanile, un mondo complesso, allo stesso tempo ricco e sfidante. Non negativo, ma complesso, sì, ricco e sfidante. Non mancano giovani molto generosi, solidali e impegnati a livello religioso e sociale; giovani che cercano una vera vita spirituale; giovani che hanno fame di qualcosa di diverso da quello che offre il mondo. Ci sono giovani meravigliosi e non sono pochi. Però anche tra i giovani ci sono molte vittime della logica della mondanità, che si può sintetizzare così: ricerca del successo a qualunque prezzo, del denaro facile e del piacere facile. Questa logica seduce anche molti giovani. Il nostro impegno non può essere altro che stare accanto a loro per contagiarli con la gioia del Vangelo e dell’appartenenza a Cristo. Questa cultura va evangelizzata se vogliamo che i giovani non soccombano.

Un terzo fattore condizionante proviene dall’interno della stessa vita consacrata, dove accanto a tanta santità – c’è tanta santità nella vita consacrata! – non mancano situazioni di controtestimonianza che rendono difficile la fedeltà. Tali situazioni, tra le altre, sono: la routine, la stanchezza, il peso della gestione delle strutture, le divisioni interne, la ricerca di potere – gli arrampicatori –, una maniera mondana di governare gli istituti, un servizio dell’autorità che a volte diventa autoritarismo e altre volte un “lasciar fare”. Se la vita consacrata vuole mantenere la sua missione profetica e il suo fascino, continuando ad essere scuola di fedeltà per i vicini e per i lontani (cfr Ef 2,17), deve mantenere la freschezza e la novità della centralità di Gesù, l’attrattiva della spiritualità e la forza della missione, mostrare la bellezza della sequela di Cristo e irradiare speranza e gioia. Speranza e gioia. Questo ci fa vedere come va una comunità, cosa c’è dentro. C’è speranza, c’è gioia? Va bene. Ma quando viene meno la speranza e non c’è gioia, la cosa è brutta.

Un aspetto che si dovrà curare in modo particolare è la vita fraterna in comunità. Essa va alimentata dalla preghiera comunitaria, dalla lettura orante della Parola, dalla partecipazione attiva ai sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione, dal dialogo fraterno e dalla comunicazione sincera tra i suoi membri, dalla correzione fraterna, dalla misericordia verso il fratello o la sorella che pecca, dalla condivisione delle responsabilità. Tutto questo accompagnato da una eloquente e gioiosa testimonianza di vita semplice accanto ai poveri e da una missione che privilegi le periferie esistenziali. Dal rinnovamento della vita fraterna in comunità dipende molto il risultato della pastorale vocazionale, il poter dire «venite e vedrete» (cfr Gv 1,39) e la perseveranza dei fratelli e delle sorelle giovani e meno giovani. Perché quando un fratello o una sorella non trova sostegno alla sua vita consacrata dentro la comunità, andrà a cercarlo fuori, con tutto ciò che questo comporta.

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