La profezia di Paolo VI, cinquant'anni dopo


Cinquant’anni fa, il 26 marzo 1967 veniva promulgata da Paolo VI l’enciclica Populorum Progressio sullo sviluppo dei popoli, due anni dopo la conclusione del Concilio Vaticano II. In quella stagione di rinnovamento e di speranza ecclesiale, l’enciclica esplicita i punti che il Concilio aveva dedicato ai temi dello sviluppo nella costituzione pastorale Gaudium et spes, in vista di promuovere riforme profonde nella vita economico-sociale e un mutamento di mentalità e di abitudini da parte di tutti. 

I padri conciliari erano consapevoli sia del fatto che l’economia era diventata capace di dare risposte alle accresciute necessità della famiglia umana, sia del fatto che immense moltitudini versavano in disumane condizioni di povertà che ostacolava il loro pieno sviluppo umano. Da questo punto di vista l’enciclica resta un riferimento fondamentale per la riflessione della chiesa sullo sviluppo di popoli e nazioni e sull’evolversi dei processi di globalizzazione in considerazione dell’attualità delle
affermazioni più importanti che vi sono contenute.

La Populorum Progressio si struttura intorno ad un’idea centrale, lo “sviluppo” che in quel tempo dominava la riflessione socio-politica ed il dibattito pubblico per uscire dalla trappola della povertà di molti popoli cosiddetti “sottosviluppati”. Nella prima parte si tematizza che occorre procedere per uno sviluppo integrale dell’uomo, nella seconda parte verso lo sviluppo solidale dell’umanità. "Lo sviluppo integrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità" (43). Intorno a queste due qualifiche sviluppa una riflessione dottrinale della chiesa ed una filosofia ed antropologia dello sviluppo, da cui si traggono interessanti strategie e linee di azione.

In questa nota, per un avvio ad una rilettura di questo importante e toccante testo di Paolo VI, ci concentriamo sulla concezione dello sviluppo che interessa soprattutto i paesi del terzo mondo. Come sfondo di questa enciclica, si devono menzionare i viaggi del cardinale Montini nell’America Latina (1960) ed in Africa (1962) e da pontefice in Terrasanta e in India dove ha potuto vedere con i suoi occhi e "quasi toccare con mano le gravissime difficoltà che assalgono dei popoli di antica civiltà alle prese con il problema dello sviluppo" (n.4). Di qui risuona nel n. 1 la voce: "Lo sviluppo dei popoli, in modo tutto particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza; che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro pieno rigoglio, è oggetto di attenta osservazione da parte della chiesa. All’indomani del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, una rinnovata presa di coscienza delle esigenze del messaggio evangelico le impone di mettersi al servizio degli uomini, onde aiutarli a cogliere tutte le dimensioni di questo grave problema e convincerli dell’urgenza di una azione solidale in questa svolta della storia dell’umanità".

In maniera penetrante e partecipe, nell’ottica di uno sviluppo integrale dell’uomo, fa emergere le “aspirazioni degli uomini” così declinate: "Essere affrancati dalla miseria, trovare con più sicurezza la propria sussistenza, la salute, una occupazione stabile, una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori di ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini; godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare, conoscere e avere di più, per essere di più; ecco l’aspirazione degli uomini di oggi, mentre un gran numero di essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio tale desiderio" (n.6). 
In particolare si segnalano le aspirazioni dei popoli approdati all’indipendenza nazionale di far seguire alla libertà politica una crescita autonoma e degna per assicurare ai propri cittadini una piena espansione umana e prendere il posto che loro spetta nel concerto delle nazioni.

La definizione dello sviluppo risente delle elaborazioni del domenicano p. Lebret, fondatore dell’istituto Economie et Humanisme, nel senso che non si riduce alla semplice crescita economica, per essere autentico deve essere integrale, volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo, ed in pienezza il vero sviluppo "è il passaggio per ciascuno e tutti, da condizioni meno umane a condizioni più umane" (n. 20). In una comprensione complessiva dello sviluppo di alto valore umanistico, l’ideale da perseguire è così tematizzato: "Meno umane: le carenze materiali di coloro che sono privi del minimo vitale e le carenze morali di coloro che sono mutilati dall’egoismo. Meno umane: le strutture oppressive, sia che provengano dagli abusi del possesso che da quelli del potere, dallo sfruttamento dei lavoratori che dall’ingiustizia delle transazioni. Più umane: l’ascesa dalla miseria verso il possesso del necessario, la vittoria sui flagelli sociali, l’ampliamento delle conoscenze, l’acquisizione della cultura. Più umane, altresì: l’accresciuta considerazione della dignità degli altri, l’orientarsi verso lo spirito di povertà, la cooperazione al bene comune, la volontà di pace. Più umane ancora: il riconoscimento da parte dell’uomo dei valori supremi e di Dio che ne è la sorgente e il termine" (n. 21).

L’enciclica Populorum Progressio rappresenta un punto alto della riflessione di Paolo VI nell’insegnamento sociale della chiesa da riprendere ed attuare nell’epoca della globalizzazione sfrenata e di imponenti flussi migratori, che fa dire a papa Francesco "che questo problema dei rifugiati e dei migranti, oggi è la tragedia più grande dopo quella della Seconda Guerra Mondiale". Si tratta anche oggi di ascoltare "l’appello dei popoli sofferenti" per rispondervi. "Il buono e vero sviluppo, non è la ricchezza egoista e amata per se stessa, ma l’economia a servizio dell’uomo, il pane quotidiano distribuito a tutti, come sorgente di fraternità e segno della Provvidenza" (n. 86).

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