Da movimento a istituzione: come si cambia
Di fronte al nuovo governo formato dal Movimento 5 Stelle e dal partito della Lega, che si è solennemente insediato sui banchi del Senato e della Camera, proponiamo alcune osservazioni.
La prima, ovvia al
di là dei toni e dello stile dei due diarchi Di Maio e Salvini, è che attraverso il procedimento
costituzionale di formazione del governo e di sanzione parlamentare con la
fiducia delle due Camere, i due movimenti agitatori,
rivendicativi ed anti-sistema sono diventati istituzioni di governo. E’ il classico processo sociologico
illustrato da Francesco Alberoni
“Movimento-Istituzione”: da un’esperienza fondamentale di statu nascenti un gruppo solidale che in
essa si riconosce vuole rinnovare il mondo, e da uno stato incandescente si
trasforma in istituzione dandosi mete,
compiti, ruoli, leadership con la tendenza a diventare istituzione di dominio. Nel nostro caso attraverso regolari
elezioni democratiche le due forze hanno conquistato
il governo del paese.
Secondo, questo governo ci
piaccia o meno è stato definito con un certo semplicismo di
linguaggio “populista” dallo stesso premier Giuseppe Conte ("Siamo
stati accusati di essere populisti, lo siamo se questo significa ascoltare la
gente"), asserendo che l’ascolto, l’esecuzione ed il controllo intendono essere
pilastri dell’azione di governo, con una caratterizzazione personale rispetto
alla sua professione di “avvocato del popolo italiano". Non amiamo questa caratterizzazione
del linguaggio politico soprattutto nei media, perché come rilevato in un
precedente post di Asor Rosa, più che di
“popolo” occorre
parlare di “massa” allo stato attuale. Nel linguaggio sociologico di analisi
delle differenziazioni sociali nelle società moderne, rispetto alle rivendicazioni dei movimenti popolari in
questione a nostro avviso è preferibile la terminologia weberiana di strati
“sottoprivilegiati”, che rende conto delle condizioni, umori e rivendicazioni
degli strati popolari soggiacenti ai due movimenti ora al governo del paese.
Può essere utile in tema di
“populismo”, la precisazione di Corrado Augias
del populismo come “fenomeno socio-politico”: "I sentimenti popolari -
rabbia, paura, disagio, rifiuto - sono utilizzati contro la politica in senso
tradizionale, contro le élite che spesso le incarnano, contro la complessità che nasconde un inganno delle élite, contro il sistema di mediazione sul quale
si basa la democrazia in Occidente. La Costituzione afferma, articolo 1, che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti,
previsti dalla Costituzione, vale a dire istituzioni, deleghe, procedure. Una
parte che i populisti tendono spesso a rimuovere" (La Repubblica, 6
giugno 2018).
E' in questione il
riferimento diretto tra leader e cittadini (locuzione più volte evocata dal Premier in Parlamento), cioè il fenomeno del “direttismo” secondo il politoligo Mauro
Calise, che elimina mediazioni rappresentative per un appello diretto del
leader ai cittadini, e dei cittadini al leader, con cui tendono ad
immedesimarsi. Se è vero che "l’era delle comunicazioni di massa ha
visto la proliferazione del cittadino telediretto dalle suggestioni ed emozioni
delle immagini. Il quadro della cultura politica che emerge dalle indagini sul
campo presenta un panorama di diffusa ignoranza, superficialità, noncuranza, un
vuoto culturale e di
informazione" (Mauro Calise, Il
partito personale, Laterza, 2000), tuttavia non si
può ignorare che disagi, rabbia, paure, un humus di emozioni di strati popolari
anche se diversamente nel Nord e nel Sud del paese hanno trovato espressione,
sono stati colti, interpretati e cavalcati dai leader politici a scopo di
consenso e conquista del potere, con semplificazioni elettorali che
ignorano la complessità delle analisi e delle soluzioni. Alla squadra di
governo spetta confrontarsi appunto con le mediazioni, procedure, altre
istituzioni per la realizzazione stessa del “Contratto
per il governo del cambiamento”.
In terzo luogo, da parte non solo delle
élites politiche dei partiti di opposizione, ma soprattutto da élites
economiche, professionali, culturali e mediatiche non sembra che sia stato
compreso questo mondo di strati popolari o di sottoprivilegiati con i loro disagi,
paure, una qualità della vita insoddisfacente per precarietà e un futuro non a
portata di mano per famiglie, imprese, donne e giovani, perchè in fondo queste
élites hanno rappresentato il sistema di potere economico, politico e culturale
finora vigente di fronte ad una voglia di cambiamento, o meglio di
riconoscimento ed affermazione sullo scacchiere politico nazionale. O se si
vuole di riscatto non solo economico per governare o governarsi attraverso i propri rappresentanti eletti. In conclusione, ci piace l’auspicio di
Michele Serra di "un popolo che
per essere padrone del proprio destino ha bisogno di essere colto e
pensante", che attualmente si
affaccia con le sue emozioni e rivendicazioni sulla scena politica per la
ricostruzione di una società di cittadini pensanti liberi ed eguali.
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