Voglia di cambiamento
di Domenico Pizzuti -
Tre sono le principali reazioni alla vittoria di Movimento 5 Stella e Lega nella consultazione elettorale del 4 marzo, alla definizione di un contratto
per il cambiamento, ed infine alla travagliata formazione di un
governo sancito dal giuramento del capo del governo e della squadra dei ministri lo scorso 1 giugno.
In primo
luogo, al di là dell’opposizione in sede
parlamentare proclamata dal PD tramite
la sua direzione e da Forza Italia, e di un’astensione di Fratelli d'Italia dopo un
tentativo fallito di inserirsi nella maggioranza, si deve
soprattutto registrare l’atteggiamento critico fin dall’inizio da parte di
organi di stampa politically correct di
stampo progressista e del mondo dei media, circa gli orientamenti non chiari in
materia di collocazione europeista, la realizzabilità in termini di costi di promesse elettorali come flat tax, reddito di cittadinanza, abolizione della legge Fornero, espulsione dei migranti clandestini, ed in qualche caso anche l’affidabilità dei soggetti politici.
In secondo
luogo, riteniamo che anche il ricorso sacrosanto alla difesa della Costituzione
e delle prerogative del Presidente della Repubblica da parte di gruppi politici
e di varie personalità facenti parte
dell’establishment progressista rischi di difendere norme e regole
liberal-democratiche astratte, che costituivano la visione politica di classi
dirigenti, élite culturali che avevano diversamente segnato la politica, la società e la cultura del
paese. Certo è stata messa in questione una ortodossia economico-politica che aveva ispirato la visione
ed il governo negli ultimi decenni. Non si è avuta nello stesso tempo visione e consapevolezza dei “movimenti” di strati popolari
sotto-privilegiati, feriti dalla crisi economica, afflitti dalla diminuzione o mancanza di redditi
stabili, da precarietà del lavoro, insicurezza nei confronti dello straniero in mezzo a noi, cioè di “bisogni” reali inevasi di imprese, famiglie,
giovani, anche se diversamente al Nord e Sud.
Di qui, in terzo luogo,
le preferenze elettorali di più della metà dei votanti per i programmi e le
promesse che intercettavano con una martellante propaganda le
proposte talora semplificanti e accattivanti le attese, le insicurezze, le
paure e la rabbia, la sfiducia nei confronti non solo della casta politica ma
dell’intero establishment culturale del paese, che viveva tranquillo
nei suoi privilegi e rendite di posizione, come se questa fosse un sistema
naturale e appagante per tutti e non solo per strati privilegiati. Si è
coagulata un’attesa, una speranza diffusa
di cambiamento delle condizioni di vita, alimentata da una mirata propaganda tematica non solo nel
periodo elettorale, che si coglieva nei comizi di piazza come negli incontri con i piccoli imprenditori, lavoratori precari, disoccupati, famiglie,
giovani dal futuro incerto, e di una migliore qualità della vita.
Non sono
state comprese le condizioni di vita di
strati sotto-privilegiati e la voglia di cambiamento, da parte di élite
culturali, professionali, economiche e politiche. Un confratello che è ritornato
dopo trenta anni all’estero per missione, nei confronti di questa situazione
politica in ebollizione mi faceva
rilevare con una certa naivité che dovevo essere contento, perché si trattava di
una “rivolta popolare” che aspirava a migliorare le condizioni di vita, e lo
slogan "governo del cambiamento" ha avuto presa ed attende la realizzazione
concreta delle promesse. Nella mia bacheca
ho trovato questa mattina il messaggio di un onesto lavoratore mio amico: BUONA
GIORNATA CON IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO.
Chi ha colto con lucidità il senso di questo
cambiamento sul piano politico è stato
il novantaduenne presidente emerito
della Repubblica e Senatore Giorgio Napolitano, il 23 marzo nel discorso al Senato che ha aperto i lavori della XVIII
legislatura: «Il voto del 4 marzo ha rispecchiato un
forte mutamento nel rapporto tra gli italiani e la politica quale si era venuta
caratterizzando da non pochi anni a questa parte. Gli elettori hanno premiato straordinariamente
le formazioni politiche che hanno espresso le posizioni di più radicale
contestazione, di vera e propria rottura rispetto al passato […]. È da
considerarsi meritorio e importante il fatto che le forze pronte a governare il
Paese sulla base del consenso degli elettori abbiano dichiarato di volersi
assumere le proprie responsabilità nel senso di evitare derive distruttive per
il Paese. Di certo per aprire, nell’attuale scenario, nuove prospettive al
Paese sono insieme essenziali il rispetto della volontà popolare e il rispetto
delle prerogative del Presidente della Repubblica, al quale rivolgo a nome di
voi tutti l’espressione calorosa della nostra stima e fiducia. (...) Ha contato molto nelle scelte degli elettori
il fatto che i cittadini abbiano sentito i partiti tradizionali lontani e
chiusi rispetto alle sofferte vicende personali di tanti e a diffusi sentimenti
di insicurezza e di allarme». Nella lettera rivolta ai Prefetti in occasione
della Festa della Repubblica il Presidente Mattarella per assicurare il bene della
sicurezza contro ogni forma di violenza ed intolleranza esortava ad arrestare con fermezza ogni rischio di regressione civile in questa nostra Italia
e in questa nostra Europa, affermando un costume di reciproco rispetto. Al di
là delle agitazioni politiche questo avvertimento riconduce il discorso al
cambiamento culturale (se non “regresso culturale”) per il disfacimento di valori
e solidarietà collettive, specialmente in alcune parti del paese, innestato da
vari fattori non solo politici.
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