C'è un ristorante Rom a Scampia - Elia Murgese

Nel ristorante Rom che sfida i pregiudizi
di Elisa Murgese - Donna moderna


Il profumo avvolgente dei friarielli diventa il cuore della versione serba della moussaka e, mentre il primo è servito, l'aroma agrodolce di capperi, uvetta, pinoli e acciughe si impossessa della cucina, pronta a sfornare il tradizionale piatto napoletano dei vermicelli di Scammaro. “Come secondo vanno bene le sarme?”, domanda la cuoca dall'accento slavo, mentre descrivere involtini di verza ripieni di riso, carote e spezie. Solo quando si volta per tornare in cucina, ecco troneggiare sulla schiena della cuoca balcanica una scritta. “Se ti raccontano una sola verità, svegliati dal sonno e inizia a lottare”.

Siamo nel quartiere napoletano di Scampia. Qui, ogni giorno si consuma una battaglia ostinata, spalla contro spalla, capitanata da cinque donne: due cuoche rom e tre napoletane. “La gente ha paura quando scopre che ai fornelli ci sono le rom. A volte vedi il sospetto negli occhi, ma poi se il piatto è buono, iniziano a mangiarlo con gusto e le distanze si riducono”. Malina Aleksic, 43 anni e quattro figli con cittadinanza italiana, è tra le cuoche del ristorante italo-rom Chiku. “Davanti a un buon piatto fumante, gli stereotipi di una vita iniziano a vacillare”, sorride Malina, senza lasciare trasparire il suo passato di fuga dai bombardamenti in Serbia e il suo presente di pregiudizio che condivide con gli 800 abitanti del campo rom di Scampia.

Nato nel 2014, Chiku ha due anime: da una parte il ristorante, progetto dell'impresa sociale la Kumpania, la prima in Italia a mettere insieme donne rom e italiane, avendo creato sette posti a tempo indeterminato in un quartiere dove la disoccupazione arriva al 70%. “La cucina può fare superare i pregiudizi”. Emma Ferulano, 35 anni, è la presidente di la Kumpania e si racconta nel salone del ristorante, proprio sotto una scritta segnata col gesso sulla parete: “Cosa c'è di meglio di una tavola, per sedersi generosamente uno di fronte all'altro in una ricerca comune”. Ma Chiku, che sorge in uno dei tanti edifici comunali sottoutilizzati, è anche sede dell'associazione chi rom e... chi no, trasferita qui dopo undici anni trascorsi in una baracca dell'affollato campo rom di via Cupa Perillo.

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