C'era una volta l'etica della responsabilità

di Domenico Pizzuti


La martellante giornaliera campagna elettorale del capo della Lega Matteo Salvini, quasi una febbre maligna ossessiva per un uomo elevato all’onore di Ministro dell’Interno, riguarda quasi esclusivamente il tema migranti. La chiusura di porti e porte ai rifugiati salvati in mare secondo il diritto internazionale rivela l’intento di accrescere il consenso di una parte del popolo italiano, e in ultima istanza la propria posizione politica. 

Ha colto nel segno il card. Bassetti presidente della Conferenza Episcopale Italiana quando ha osservato che si tratta di “Una campagna di distrazione di massa” dai problemi del paese su famiglie, imprese e giovani. D’altra parte non si comprende - o meglio si comprende bene - se si tratti solo di agitazione del problema dei migranti e di annunci di propositi senza alcuna base di atti amministrativi, decretali o legislativi - salvo ordini impartiti secondo la prassi dal ministro competente - ma intanto l’effetto o il danno è fatto. Fa rabbia che costui si presenti e parli indebitamente a nome del popolo italiano, il quale è indotto a pensare che vi sia un’invasione da respingere da parte di migranti in fuga da guerre, catastrofi naturali, povertà.

Tenendo presente le conseguenze di questa campagna di rigetto di esseri umani salvati in mare, con il bollettino quotidiano di morti e dispersi nella traversata, il Salvini a Pontida ha rigettato l’accusa rivoltagli di una responsabilità per queste recenti centinaia di morti in naufragi, ma rimane il rifiuto del nostro suolo ad accogliere altri migranti per la chiusura dei porti italiani alle Ong operanti nel Mediterraneo. Tutto a nome di una maggioranza elettorale che non è poi la maggioranza del paese. 

Per una valutazione etica dell’operato politico è appropriata la distinzione operata dal grande sociologo tedesco Max Weber nel saggio “La politica come professione”: "Dobbiamo renderci chiaramente conto che ogni agire orientato in senso etico può essere ricondotto a due massime fondamentalmente diverse l’una dall’altra e inconciliabilmente opposte: può orientarsi nel senso di un'etica dei principi oppure di un’etica della responsabilità ... secondo la quale si deve rispondere delle conseguenze (prevedibili) delle proprio agire". Senza entrare nel merito di elaborate discussioni riguardanti l’agire orientato in senso etico non solo in campo politico, è certo da richiamare la questione del Salvini ma anche dei suoi seguaci lombardo-veneti riguardante le conseguenze sotto il profilo etico di questa campagna e politica di chiusura. Se non andiamo errati, anche senza imputazioni moraleggianti, le conseguenze da attribuire al leader della Lega sotto il profilo di accoglienza/rifiuto di rifugiati e migranti (per la parte che ci spetta secondo i trattati internazionali), riguardano la vita e morte di uomini, donne e bambini senza rimandarla ad altri paesi “volenterosi”. 

Questa valutazione delle conseguenze di un agire politico personale e collettivo sulle politiche antimigratorie resta affidata alla resistenza illuminata di cittadini ed aggregazioni della società civile, e alla libera argomentata pubblica discussione per un cambiamento di politiche escludenti, magari puntando sui “corridoi umanitari” promossi da chiese e comunità cristiane. Per una valutazione più ampia si può ritenere che questa chiusura senza appello di porti ed animi in senso difensivo non sia in definitiva un acquisto ma una perdita: perché una società che si chiude invecchia e non ringiovanisce senza sangue e vita nuova. Il problema in termini popolari è poi: “vallo a dire ai leghisti di Pontida” che pensano di cantare vittoria su queste tragedie del mare, perché non dimentichino un’umanità comune.

L'agitazione salviniana sul fenomeno delle migrazioni intercontinentali non è solo irrealizzabile ma falsa: un “nonsense” di fronte alla storia e cultura della mobilità dei gruppi umani. Ricordiamolo sempre.

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