Le priorità dei cristiani nel mondo di oggi

di Domenico Pizzuti



1. MIGRAZIONI FORZATE

1.1 E’ mondiale il fenomeno delle migrazioni forzate di popoli, non solo per guerre, persecuzioni, violenze, discriminazioni ed esclusioni, ma anche per speranze di vita migliore. Avviene all’interno di continenti e tra continenti nell’epoca dell’incontrollata globalizzazione economico/finanziaria e di crescenti disuguaglianze sociali persino all’interno dei paesi sviluppati. Ci ispira nell’agire sociale su questo fenomeno la meditazione dell’Incarnazione negli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola. In essa l’esercitante è invitato ad uno sguardo sulle persone: “Alcuni bianchi, e altri neri, alcune in pace ed altre in guerra, alcuni che piangono, altri che ridono, alcuni che nascono, altri che muoiono, e come le tre Persone divine guardando la superficie della terra in tanta cecità e perdizione delle persone, pronunciano la parola: facciamo la redenzione del genere umano”. Redenzione che si realizza con l’incarnazione del Figlio. E’ una contemplazione attiva che assegna nell’approccio al fenomeno delle migrazioni primariamente attenzione alle diverse persone in movimento, le loro sofferenze e i progetti di vita, per accompagnarle attivamente nel riconoscimento dei diritti umani universali. 

Dobbiamo promuovere ovunque una “generosa cultura dell’ospitalità” ed un’articolazione non solo nazionale dei servizi in favore di migranti e rifugiati, in collaborazione con Jesuits Refugee Service e Centro Astalli a Roma. Al di là di atteggiamenti e comportamenti dettati da empatia, per immedesimarsi nelle peripezie, sofferenze e speranze di migranti e rifugiati, occorre non ridurre questi soggetti a pure categorie da accogliere, assistere, integrare o meglio includere, ma sentirle come esseri umani, soggetti concreti di diritti universali. Certo non può mancare il tentativo di elaborazione delle differenze culturali dei diversi gruppi e nazionalità, e delle differenze sociali come “cittadini senza frontiere”, perché si costruiscano forme di riconoscimento e convivenza pacifica.

1.2 Sono noti e diversamente diffusi i fenomeni crescenti di nazionalismi, razzismi, xenofobia, paure dell’altro che arriva per vivere con noi, propagati da élite politiche e mediatiche per acquisire consenso a scopo di potere, strumentalizzando senza umanità l’odissea delle navi straniere cariche di profughi alla ricerca urgente di un porto sicuro. Per quanto gli scopi di simili dimostrazioni attengano al cambiamento di trattati internazionali. La questione della chiusura dei porti italiani chiaramente assume il significato da parte di una maggioranza del nostro paese di respingimento dal nostro suolo dei rifugiati soccorsi in mare. Si delineano più in generale in vari paesi, non solo europei, politiche di esclusione con chiusure di confini materiali e mentali, che configurano i migranti come capri espiatori di crisi economiche e sociali, e portano al disconoscimento di diritti umani universali dei migranti e rifugiati. 

Ritorna di frequente in questa dinamica l’espressione “FIRST” autoriferita a un popolo o nazione (Prima gli italiani, America first), con un carattere escludente non solo di stampo nazionalistico. Più in generale questo messaggio dà priorità a bisogni, interessi, diritti della propria famiglia, del proprio clan, gruppo, comunità. organizzazione, chiesa, religione e così via. Ne consegue una comoda indifferenza nei confronti dell’esistenza, dei bisogni, delle sofferenze, dei diritti dell’ALTRO comunque inteso, che incontriamo nel nostro cammino di vita e che ci apre ad una comunione e condivisione di umanità. Per mantenere viva l’attenzione ed il contrasto verso questi fenomeni bisogna continuare a dire cose semplici: “Gli esseri umani sono uguali, i diritti non si toccano, il razzismo non si accetta”.


2. L’OPERA DELLA RICONCILIAZIONE

2.1 Tra le chiamate più importanti che il Signore rivolge oggi alle comunità cristiane, “La chiamata a condividere l’opera di riconciliazione di Dio nel nostro mondo frantumato è emersa con frequenza e con forza” come recita per esempio il Decreto 1 della recente Congregazione Generale della Compagnia di Gesù. Per adempiere a questa missione ha senso avviare percorsi e campagne non facili di ricomposizione di fratture e ferite, contrapposizioni e conflitti, ostilità, inimicizie, guerre e lotte tra nazioni, all’interno di nazioni, di separazioni e discriminazioni. Occorre una riconciliazione sul piano soggettivo e collettivo nei contesti locali tra popoli, nazioni, etnie, maggioranze e minoranze, centri e periferie, e non ultimo tra maschi e femmine in diverse culture. Per risanare le ingiuste distribuzione della ricchezza tra classi e strati sociali, e le crescenti disuguaglianze sociali anche nei paesi più sviluppati. 

Non dobbiamo quindi non avere paura di stare nei confini e nei conflitti, secondo la testimonianza di operatori religiosi e sociali in diverse situazioni critiche, per superare ostilità, inimicizie, guerre fratricide, riconnettere parti frantumate e costruire cammini di dialogo e ponti di pace. Bisogna riconoscere che la missione di riconciliazione ha una radice teologica, perché punta alle radici delle divisioni, contrapposizioni e conflitti, con una liberazione dai demoni del male, dell’odio, delle inimicizie, e comporta un riconoscimento del male operato, delle offese e ferite inferte. E’ un cammino arduo e lungo di conversione personale e comunitaria. E’ un “sacramento” di grazia che libera, perdona, riconcilia con la disponibilità umana. E’ opera divina, l’opera della riconciliazione di Dio, riconciliazione piena espressa nella triplice ripetizione del saluto di pace fatto da Gesù Risorto ai suoi discepoli (Gv.20, 19, 21, 26). Resurrezione significa Riconciliazione, ed è il fondamento della missione e dell’esistenza ecclesiale. Nel suo pregnante svolgimento e significato: riconciliazione con Dio, riconciliazione dentro l’umanità, riconciliazione con la stessa natura.

2.2 Si oppongono a questa opera le contrapposizioni cristallizzate e fomentate, tra gruppi e all’interno di gruppi, tra clan e fazioni, l’esclusione perseguita di minoranze etniche o religiose in diverse parti del mondo, nazioni e coalizioni internazionali in conflitto, ingiustizie sociali sedimentate che provocano scontri e conflitti. Sono altresì da prendere in considerazione in diversi paesi la promozione securitaria ed escludente di identità nazionali, etniche e religiose, i conflitti etnico-religiosi, i fondamentalismi politici e religiosi, le intolleranze dei modi di vivere culturali e religiosi di altri, ed in particolare la diffusione di linguaggi aggressivi verbali e fisici, nazionalistici, sovranisti che fomentano odio e rabbia ad opera di élite politiche e religiose, dei media e del mondo incontrollato dei social media. Si tratta di odi, paure, rabbie motivate o meno non ricomposte da parte di singoli e gruppi, del rifiuto del dialogo e del confronto per risanare ingiustizie, incomprensioni, ferite e divisioni, secondo le modalità pacifiche della vita politica e/o diplomazia nelle questioni internazionali. Di smontare le armi verbali e fisiche che feriscono ed escludono per sostituire le armi della ragione in difficili e civili confronti, di liberare non tanto o solo dalla ostinazione nelle proprie ragioni, ma talora dalla perversa soddisfazione per conservare e nutrire odio, rabbia, ostilità, per affermarsi davanti a sé e agli altri e contrapporsi, ignorando la beatitudine della riconciliazione personale e sociale. E da parte nostra le difficoltà e ritrosie nell’abbandonare le nostre certezze e tranquillità sociali, culturali, religiose e cultuali per l’opera di perdonare, sanare, riconciliare, fare giustizia e pace.



3.SOSTENERE LE RIFORME DI PAPA FRANCESCO


3.1 E’ un obiettivo concreto che fa riferimento ad una categoria storico-sociale, cioè RIFORMA nell’orizzonte della vita della Chiesa semper reformanda, che si manifesta nella presente congiuntura nell’opera riformatrice in senso evangelico delle strutture, dei comportamenti, delle mentalità, degli stili stili di vita della chiesa da parte di papa Francesco. In un certo senso si può parlare di un KAIROS (tempo opportuno) da riconoscere ed assecondare nella partecipazione alla vita della Chiesa. In particolare si intende il superamento della “mondanizzazione” dell’istituzione ecclesiastica, di rigidità dottrinali e pratiche, e di atteggiamenti poco misericordiosi. Si tratta di una riforma non solo delle strutture centrali della Chiesa, coinvolge le diverse Chiese locali accogliendo ed attuando messaggi, gesti, disposizioni, indicazioni di papa Francesco. Non è tanto o solo un fatto normativo (leggi e regole) di riforma di strutture, comportamenti, mentalità e stili di vita ma di innervare di spirito evangelico le varie strutture e modalità di azione e di vita ecclesiastica e cristiana. Tale impegno di riforma attinge il significato ultimo per la sua efficacia nel cambiamento interiore, cioè nell’obbedienza personale e collettiva allo Spirito nelle esistenze storiche concrete delle comunità cristiane. 

Dobbiamo ricondurre alla FEDE cristiana la religiosità vissuta da ecclesiastici e fedeli. Siamo chiamati a vivere ed attuare questo tentativo di una RIFORMA EVANGELICA del corpo ecclesiale nell’oggi e nel domani. Sotto questo profilo due indicazioni ci sembrano capitali: riscoprire e vivere il volto materno e femminile della Chiesa secondo una recente meditazione di papa Francesco, anche per dare riconoscimento e spazio alla presenza femminile nella governance come nelle celebrazioni eucaristiche e sacramentali; e l’appello alla misericordia che guarda alla persona per superare rigidità/discriminazioni cultuali e culturali. Nel contempo è urgente e centrale una rimodulazione del linguaggio religioso. Come dire o ri-dire Dio, Cristo (“non più oggetto della religione ma qualcosa di totalmente diverso, veramente il Signore del mondo”), chiesa, ed anche uomo/donna, in un mondo-religioso di fronte ad un mondo non-religioso che scorre accanto? Si tratta di non aver paura di fronte alla sfida dell’inedito, del Mistero che trascende i sistemi religiosi di credenze e pratiche, da custodire non solo nell’interiorità perché è fonte di vita vera per il genere umano. Certo, secondo il dettato evangelico, il vino nuovo richiede otri nuovi e viceversa.

3.2 Si oppongono a questa opera di Riforma della e nella chiesa pesanti tradizioni religiose e culturali, modelli, strategie ecclesiastiche, modalità cristallizzate di vita e di divisione del lavoro e potere religioso, tra chi possiede la conoscenza religiosa e chi no. In senso più ampio è in questione una sacralizzazione affermatasi di liturgie, dottrine ed insegnamenti teologici e morali, di prassi pastorali, e la mancata parola al popolo di Dio che è comodamente muto, non solo nelle azioni liturgiche ma nella governance della vita della chiesa. E’ la difficoltà di mettere in questione certezze dottrinali e pratiche date per scontate, routinizzate da parte di ecclesiastici e fedeli laici, il conferire priorità alla tradizione consolidata (si è fatto sempre così) e non inverata dinamicamente, più che ad uno spirito di innovazione nel segno dello Spirito che soffia per dare vita a parole, gesti e segni, e rendere capaci di leggere i segni dei tempi.

Anche da parte dei fedeli si ha la sensazione di un certo “immobilismo” delle e nelle diverse Chiese italiane, di poca presa su atteggiamenti e comportamenti sociali come sopra indicati. E’ in questione anche un Discernimento personale e collettivo, condizionato da modalità culturali di ceti e strati sociali, e poco attento alla vita della Chiesa, nei suoi Concili, Sinodi, ed insegnamenti vari dall’alto e dal basso. Non sempre il loro contenuto è giunto o è stato dato in maniera completa e comprensibile al popolo dei fedeli, nelle strategie ecclesiastiche degli ultimi decenni.

Si può sperare nella fioritura di una primavera umana evangelica, che dipende anche dalle nostre scelte personali e collettive per un passo religioso e sociale in avanti.

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