L'eruzione giallo-verde è mediatica o sostanziale?

di Domenico Pizzuti


Ho provato ad illustrare a un gruppo di operatori sociali del centro-Nord, la situazione socio-politica in seguito ai risultati delle elezioni politiche del 4 marzo. Le quali hanno segnato “un forte mutamento nel rapporto tra gli italiani e la politica... hanno premiato straordinariamente le formazioni politiche che hanno espresso le posizioni di più radicale contestazione, di vera e propria rottura rispetto al passato”, come ha osservato icasticamente il Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano nell’apertura dei lavori della XVIII legislatura. Prendendo spunto dal mio osservatorio napoletano all’ombra del Vesuvio ho utilizzato un’altra immagine vivida del fenomeno, non solo politico.



L’ascesa nelle istituzioni parlamentari e governative di formazioni politiche di esplicita rottura verso gli assetti consolidati, e di visioni e progettuallità definibili per semplificazione “populiste”, si può rappresentare come un’eruzione di lava dal profondo di alcune regioni, soprattutto del centro-nord in ragione di un impoverimento non solo materiale ma anche culturale degli strati “sottoprivilegiati”. Insoddisfazioni, rabbie, insicurezze e paure diffuse a cui dare risposte con metodi diretti ed immediati nel governo del paese, questa lava di bollori popolari raccolti e cavalcati da capi politici è arrivata nella Capitale e si è consolidata nella legittimazione di un cosiddetto “governo del cambiamento”, insediato a Palazzo Chigi con tutti i crismi costituzionali.



Questa “eruzione popolare” al governo del paese ha certo scottato la “casta” e le élite professionali, mediatiche, giornalistiche del paese, le quali - da Calenda a Gentiloni, da Renzi a Bersani, e chiaramente all’imprenditore politico Berlusconi -, non hanno compreso la profonda natura di questo fenomeno che sobbolliva sotto la pancia del paese. Le sue insoddisfazioni diffuse e la percezione di mancanza di attenzione ai propri problemi nella crisi economica erano intanto raccolte e cavalcate con l’assunzione di pochi temi a carattere difensivo o securitario da capi politici in cerca di consenso e successo elettorale personale.



A parte la riduzione delle tasse a famiglie e imprese, il reddito di cittadinanza, e l’impietoso ostinato respingimento di migranti salvati da naufragi, non appare in primo piano una vera progettualità di crescita economica e sociale da perseguire.

Questa lava vulcanica continua ad eruttare nell’irruenza propagandistica di Salvini, impropria per un Ministro dell’Interno, senza finora veri contrasti nel governo, con il Presidente del Consiglio che la settimana scorsa è sembrato senza voce. In questa orgia di dichiarazioni sulla chiusura dei nostri porti (e confini esterni) si deve rilevare non tanto e non solo l’occupazione dello spazio mediatico, secondo una mirata e perversa strategia propagandistica - con l’evidente riduzione della problematica politica ad un solo problema securitario ed ingannevole -, ma soprattutto il preoccupante aspetto formale dell’ambiguità delle dichiarazioni; nei confronti ad esempio delle navi salvavite non si comprende se siano solo flatus vocis, annunci agitati per gli elettori di riferimento, o provvedimenti supportati da atti di governo e parlamentari, nazionali ed internazionali. 



Al contempo la divisione delle competenze tra i diversi ministeri, dell’Interno per problemi di ordine e sicurezza e delle Infrastrutture per la gestione dei porti. Correttamente su La Repubblica Chiara Saraceno eccepiva che sia per la chiusura dei porti sia per il restringimento della protezione umanitaria si tratta di decisioni monocratiche del ministro senza discussione da parte del Consiglio dei Ministri e tantomeno del Parlamento. Una voce finalmente si è levata dall’interno, la Ministra della Difesa in quota 5 Stelle Elisabetta Trenta ha precisato che non è competenza dell’Interno sindacare in merito all’attracco in Italia della nave Euronavformed che ha sbarcato a Messina 106 migranti. Forse il Ministro Salvini se ne era dimenticato, e pensava di avere la bocca libera su tutta la materia. Dio sia lodato, con rispetto parlando.



Rimane un forte dubbio per gli intenti non solo di Matteo Salvini ma dell’intero governo, se si tratti di un’azione mirante a rispondere ad insoddisfazioni diffuse di strati di popolazione, o astutamente a implementare disegni politici adombrati in campagna elettorale, cui dovremo opporre democratica resistenza.

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