Cosa ho capito facendo il confessore a Roma
di Domenico Pizzuti
Un breve “rapporto” sul
mio turno di servizio nell’ascolto delle confessioni nella magnifica Chiesa del
Gesù di Roma. Un luogo trionfo del barocco, con i resti e le memorie dei
fondatori della Compagnia di Gesù Ignazio di Loyola e Francesco Saverio, ma
anche di recente del Padre Generale Pedro Arrupe di cui è avviata la
beatificazione. Le considerazioni che riporto non attengono certo i colloqui
sacramentali, ma per la mia mentalità sociologica evidenziano alcuni aspetti
oggettivi e ricorrenze pratiche.
Il sacramento della
penitenza viene impartito qui dalla Compagnia di Gesù quotidianamente dalle 7
alle 13 e dalle 16 alle 20, e vi affluiscono fedeli di varia estrazione
sociale, età, occupazione, appartenenza ecclesiale. Soprattutto appartenenti al
clero, religiose e religiosi di varie congregazioni. E’ un grande fatto sociale e religioso che si
compie nel silenzio rispettoso dell’intorno, di cui andrebbe valutata
l’importanza, non tanto per il servizio a sostenere la vita cristiana ordinaria
dei fedeli, ma per la purificazione ed il sostegno alla vita spirituale di
sacerdoti, religiose e consacrati di vario genere.
In questo servizio profondamente
umano per la manifestazione della propria coscienza e vita rispetto alle dieci
parole della Legge dell’Antico Testamento e alla Parola evangelica della nuova
alleanza, sono rimasto positivamente impressionato per il modo con cui quasi
tutti i fedeli si accostavano al colloquio, manifestavano di essersi preparati con l’esame di coscienza,
esponevano ordinatamente le loro mancanze e debolezze, conoscevano e recitavano
l’atto di edolore e così via per ricevere la promessa del perdono divino
annunciata dall’assoluzione. In qualche caso mi è sembrato di percepire vera
“contrizione” personale. Questi dati fanno pensare che c’è stata un’efficace
formazione sacramentale da parte delle strutture di base della Chiesa.
C’entra forse il fatto
che la Chiesa del Gesù di Roma sia collocata nel centro città, quindi
frequentata da soggetti culturalmente e religiosamente formati, ma al
sacramento si accostavano anche romani di altre aree della città, e talora
fedeli di altre regioni e nazioni che usufruivano di questa opportunità. Da
questo apprezzabile stile e questa magnifica Rettoria al centro della Capitale,
senza indebite generalizzazioni ho ripensato ad una certa povertà religiosa
negli ambienti meridionali (più culturale che religiosa), nonostante picchi di
fede personale e comunitaria, figure sacerdotali e religiose di rilievo,
movimenti laicali di testimonianza non coordinati tra loro.
La manifestazione di
coscienza e dei propri “peccati”
comprende la dimensione personale della vita di preghiera, la facilità di
giudizi sugli altri e le critiche all’operato altrui, le relazioni familiari e
talora quelle lavorative. E’ assente del tutto la sfera della responsabilità
sociale nei confronti della comunità cittadina, nazionale e dei problemi
mondiali della giustizia e pace, perciò ritenevo doveroso richiamare almeno l’ascolto
e l’aiuto da dare ai poveri e bisognosi secondo le proprie possibilità. Nello
stesso tempo, su un altro versante personale non meno importante, era
ricorrente la manifestazione delle trasgressioni nella gestione della propria
sessualità, che non ha confini e riguarda trasversalmente maschi e femmine,
giovani e meno giovani, non sposati e solitari, sacerdoti, religiose/i,
occupati e disoccupati... E’ da rimarcare in positivo la “confessione” esplicita
di queste debolezze da parte di coloro che si accostano al sacramento della
penitenza, non volendole attribuire semplicisticamente alla potenza di questa pulsione
vitale, che va vissuta con responsabilità per un felice incontro con l’altro.
Non avendo termini di
paragone con il passato per quanto riguarda la pratica sacramentale, mondo in
cui la sessualità in vari modi veniva repressa o le trasgressioni ipocritamente
nascoste, si può ritenere che oggi dall’esterno molteplici, continue ed
allusive sono le sollecitazioni di immagini e richiami da parte dei media che
giungono senza barriere ai singoli e richiedono un necessario controllo ed
illuminata formazione in vista di una gestione positiva della sessualità nei
vari stadi e stati di vita. Le uniche volte in cui ho in qualche modo
richiamato il penitente è quando hanno manifestato in situazioni particolari di
“andare a più donne”, al di là del rispetto dovuto ad ogni donna, perché le
donne non sono “bambole” che si possono usare a proprio piacimento.
In conclusione è stato un servizio tonificante
umanamente e spiritualmente, che apre il cuore degli umani all’uomo confessore,
ed ho in particolare cercato di portare ed invocare pace nelle sofferenze e
difficoltà della vita, e di invitare ciascuno a verificare e trovare pace nella
propria vocazione e nei vari stadi di vita. E’ un servizio importante, ma nella
sua notevole frequenza nella chiesa del Gesù - secondo una visione sociologica
- contribuisce ad una riproduzione della vita cristiana secondo l’architettura
sacramentale ecclesiastica (romana).
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