Non cadiamo nella trappola
di Camillo Ripamonti sj
In queste settimane non nascondo di essere più volte stato preso da un certo scoraggiamento e un senso di rabbia di fronte agli eventi e alle decisioni politiche italiane ed europee sulle migrazioni e al consenso che queste ultime sembrano riscuotere in un numero sempre più consistente di persone. Si tratta di un consenso che abbiamo sottovalutato non perché non abbiamo ascoltato prima gli italiani, ma perché non abbiamo ascoltato i bisogni comuni di italiani e migranti insieme.
Mi provoca dolore sapere che la riduzione del numero degli arrivi in Italia corrisponde a indicibili sofferenze di bambini, donne e uomini in Libia, terra insicura e ancora una volta nel caos.
Provo sconcerto nel vedere risalire i tassi di mortalità nella rotta del Mediterraneo centrale dopo che con tanta ingiusta omologazione sono state messe fuori gioco ONG che cooperavano al salvataggio in mare.
Assisto attonito a contese europee che si giocano proprio su quelle persone che, sopravvissute al mare, devono sottostare al tira e molla di interessi politici particolari. Al riguardo, mi torna alla mente il volto di una ragazza congolese che ho ascoltato nei giorni scorsi, e non posso non chiedermi come avrebbe vissuto quell’umiliante attesa su una di queste vergognose navi della contesa, portando in grembo il seme germogliato di una violenza subita in Libia e con il pensiero alla figlia lasciata nel proprio Paese.
E poi azioni, decreti legge e parole violente e irridenti che mettono sotto attacco la solidarietà e l’accoglienza. Mi viene da domandarmi: Quando sarà il nostro turno? Come se tutto ciò fosse una sfida lanciata, uno dopo l’altro, agli attori di questa grande arena del grande fenomeno migratorio globale.
E allora forse sta proprio qui la trappola, nel raccogliere la sfida. Non voglio contribuire a mettere quelle macabre medaglie sul petto di nessun cinico gladiatore, non voglio partecipare a questa gara che rischia di armarci della stessa violenza. In tutto il mondo il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, di cui il Centro Astalli è la sede italiana, opera per la riconciliazione e credo debba essere questo il vero grande impegno di questo tempo violento, lavorare per la riconciliazione e la pacificazione sociale.
Il nostro servizio va reso alle donne e agli uomini migranti vittime di violenza, guerra, cambiamenti climatici sistemi ingiusti e miseria perché possano arrivare in sicurezza e si sentano sempre più a casa nel nostro Paese e nella nostra Europa, dove per troppo tempo e oggi, non meno che in passato, i cittadini di lunga data sono stati essi stessi beffeggiati da politiche che hanno scardinato un pezzo per volta lo stato sociale. Ricostruire in una casa comune, una comunità solidale, camminando gli uni a fianco degli altri con dedizione e spirito di solidarietà è forse questa l’unica vera grande sfida che dobbiamo raccogliere.
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