Incarnazione e umanità. Schierarsi è implicito al Natale

di Domenico Pizzuti



Per un Natale non di corta visione. L'immagine ignaziana dell’incarnazione nell’umanità illumina anche il nostro mondo globalizzato, per operare a favore dei diritti umani di migranti, profughi, rom.

Di fronte al fenomeno mondiale delle migrazioni forzate di popolazioni - non solo per guerre, persecuzioni, violenze, discriminazioni, esclusioni, ma speranze di vita migliore per sé e le proprie famiglie - all’interno di continenti e tra continenti, nell’epoca dell’incontrollata globalizzazione economico/finanziaria e di crescenti disuguaglianze sociali all’interno degli stessi paesi sviluppati, è ispirante la meditazione dell’Incarnazione negli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola. Ispira l’agire sociale nei confronti di questo imponente fenomeno. 
In essa l’esercitante è invitato ad uno sguardo sulle persone, <alcuni bianchi,e altri neri, alcune in pace ed altre in guerra, alcuni che piangono altri che ridono, alcuni che nascono altri che muoiono, e come le tre Persone divine guardando la superficie della terra in tanta cecità e perdizione delle persone, pronunciano la parola “facciamo la redenzione del genere umano”>. E’ una contemplazione attiva che assegna nell’approccio alle migrazioni un'attenzione speciale alle singole persone, in movimento con le loro sofferenze e progetti di vita migliore, per accompagnarle attivamente in questo cammino di riconoscimento dei diritti umani universali nelle nazioni ospitanti. 

Si tratta di promuovere ovunque una “generosa cultura dell’ospitalità” ed un’articolazione non solo nazionale dei servizi in favore di migranti e rifugiati. Al di là di atteggiamenti e comportamenti dettati da empatia, per immedesimarsi nelle loro peripezie, sofferenze e speranze, occorre non ridurre questi soggetti a pure categorie (migranti, rifugiati, clandestini) da accogliere, assistere, integrare o meglio includere, ma individui da riconoscere come esseri umani,  soggetti concreti di diritti universali. Certo non può mancare il tentativo di elaborazione delle differenze culturali nei diversi gruppi etnici, e nel contempo l'elaborazione delle differenze sociali come “cittadini senza frontiere”, per la costruzione di forme di riconoscimento e convivenza pacifica.

Noti e diversamente diffusi sono i fenomeni crescenti di nazionalismi, razzismi, xenofobia, paure dell’altro che arriva per vivere con noi. Propagati da élite politiche e mediatiche per acquisire consenso a scopo di potere, strumentalizzando senza umanità l’odissea delle navi cariche di profughi alla ricerca urgente di un porto sicuro, per influenzare i trattati internazionali. La chiusura delle frontiere e dei porti italiani chiaramente assume il significato da parte di una maggioranza del nostro paese di respingimento dal nostro suolo. 

Si delineano più in generale in vari paesi non solo europei politiche di esclusione con chiusure di confini materiali e mentali, che configurano i migranti come capri espiatori di crisi economiche e sociali, e portano al disconoscimento di diritti umani universali dei migranti e rifugiati. E’ da segnalare in questo ambito il linguaggio gridato a popoli e nazioni: FIRST / italiani o americani che siano, di stampo nazionalistico. Questo messaggio dà priorità a bisogni, interessi, diritti della propria famiglia, del proprio clan, della propria organizzazione, religione e così via. Ne consegue una comoda indifferenza nei confronti dell’esistenza, dei bisogni, delle sofferenze, dei diritti dell’ALTRO comunque inteso, che incontriamo nel nostro cammino di vita e che ci apre ad una comunione e condivisione di umanità. 

Per mantenere viva l’attenzione ed il contrasto verso questi fenomeni, bisogna continuare a dire cose semplici. "Gli esseri umani sono eguali, i diritti umani non si toccano, il razzismo non è accettabile".

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