Superare la chiusura alle donne diacono e prete

di Domenico Pizzuti sj


Ho letto sul Corriere della sera (“Il Papa in campo per l’Amazzonia”) che sono in campo ipotesi di  ordinare come sacerdoti in zone remote dei "viri probati", uomini anziani sposati, e di riconoscere un Ministero ufficiale (non il sacerdozio) alle donne, per rimediare alla carenza di preti. E’ noto per esempio che la Chiesa tedesca scalpita per fare riforme, tra cui il “diaconato femminile”. 
Sembra chiaro che questo riconoscimento stravagante di un “Ministero ufficiale” alle donne in zone remote dell’Amazzonia rappresenta un sostituto del “diaconato femminile” nella Chiesa, per il quale già esiste una commissione di studio con opinioni diverse comunicate dallo stesso Francesco. 
A livello centrale nella Chiesa quindi non c’è ancora un’ipotesi di introduzione del “diaconato femminile” in forma sacramentale o meno, mentre chiese nazionali come la tedesca sarebbero favorevoli ad una maturazione interna. 

Il diaconato femminile sacramentale rappresenterebbe un introduzione nella scala dell’ordine sacerdotale, come si recita nella Messa, dopo la consacrazione, e nella stessa sacralità maschile sacerdotale. Se l’ordinazione di viri probati e lo stesso originale “Ministero ufficiale” alle donne rappresentano in modo diverso dei passi in avanti nella vita della Chiesa, rimane inevaso il problema del diaconato e sacerdozio femminile nella Chiesa cattolica romana, il cui dibattito specie in Italia negli ultimi decenni si è piuttosto sopito per conformismo, sotto l’ombrello clericale. 

Vogliamo portare alcuni esempi di questa apertura alle donne per diaconato e sacerdozio. E’ noto, ma non presente per comodità a molti cristiani, che alcune confessioni del ramo protestante da alcuni decenni hanno riconosciuto il sacerdozio femminile e lo stesso episcopato alle donne, con mal di pancia cattolici ed anche interni. Anche in Italia il sacerdozio o pastorato femminile è riconosciuto da più di un trentennio, senza danno alcuno, nelle realtà protestanti. In quelle cattoliche ho avuto occasione spesso di partecipare a culti (penso alla comunità di S. Egidio) guidati da donne che leggevano e commentavano il vangelo, preparate ed efficaci. Si dovrebbe concludere che “si puote” la partecipazione diaconale e sacerdotale delle donne, superando l’inerzia di tante comunità cristiane che si contentano come si dice a Napoli di “ascoltare” la Messa con qualche comparsata anche femminile alle letture e alle intenzioni.

Oggettivamente, per motivi da approfondire, in Italia non ci sono scatti in avanti in questo campo, c'è un ritardo culturale e religioso pur avendo un dinamico Papa Francesco che guarda avanti e a “camminare insieme”. Per concludere le ipotetiche ordinazioni di “viri probati” ed il riconoscimento del “Ministero ufficiale” alle donne non sono l’ultima parola. E’ chiaro che queste proposte sono dettate dalla “necessità” della Chiesa per mancanza di preti, che costituisce la regola suprema dell’agire della Chiesa nel mondo. L’esclusione delle donne dal sacerdozio non è certo un dogma di fede, ma un lontano pregiudizio culturale di chiese e società umane da superare sapientemente. 
A nostro avviso occorre superare la “ paura” indotta da parte degli ecclesiastici verso le donne, e la distanza che mantengono. Riteniamo come presupposto che non solo occorre veramente conoscere e rispettare le donne in famiglia, nella società, nella chiesa, ma “AMARE” le donne come si conviene alla status di ognuno, per “camminare insieme”.

Una proposta minimale: perché nelle comunità cristiane non far leggere anche il Vangelo nella Messa alle donne e far proporre loro un’omelia preparata? Si richiede non solo la necessaria preparazione religiosa, ma anche - come ha richiamato papa Francesco nell’omelia di domenica scorsa - una “prudenza audace”.

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