Libri: Mafie tra Sicilia ed America

di Domenico Pizzuti sj


Ho riletto con interesse il volume di Salvatore Lupo, ​La mafia. Centosessant’anni di storia (Donzelli, 2018). L’Autore di questo volume di storia della mafia in maniera inusitata inizia con una definizione legislativa, che fa corrispondere il concetto di mafia a quello di criminalità organizzata, senza specifico riferimento a gruppi regionali o etnici che lo caratterizzano sin dalle origini. Cita l’articolo 416bis del codice penale, legge varata nel 1982, comunemente detta Rognoni-La Torre. L’associazione di tipo mafioso è quella che usa "forza di intimidazione" garantita ai suoi affiliati dal "vincolo associativo" al fine di 1) "commettere delitti", 2) controllare "attività economiche" (anche se lecite), 3) "ostacolare il libero esercizio del voto". Nel "tipo mafioso" vanno comprese anche le associazioni di camorra, di ’ndrangheta comunque localmente denominate.

La parola "mafia" in Italia è stata riservata alla Sicilia sin dal 1863-66, e negli Stati Uniti a partire dal tardo ottocento. La mafia è stata da sempre rappresentata da scienziati sociali e storici come il frutto di una società arcaica, di una cultura antistatale. "La mafia si è quasi contemporaneamente affermata, oltre che in un’area sottosviluppata dell’Europa mediterranea, nel luogo ideale della modernizzazione planetaria. Si basa su un’ibridazione transatlantica su un incrocio culturale minaccioso eppure affascinante". 

Perciò la copertina porta in alto a destra la dizione che questi centosessant’anni di storia si svolgono “Tra Sicilia e America”, quindi mafia sicula e mafia sicula-americana nelle loro interazioni, non solo di business. 

In tema di definizioni o delimitazioni di ricerca si deve rilevare che la mafia sicula oggetto di questa storia è riferita prevalentemente alla parte occidentale dell’isola, con Palermo e le sue borgate e paesi (Corleone, Villabate, Partinico, Piana degli Albanesi, ecc.) sedi di radicati gruppi e dinastie mafiose che hanno segnato questa storia, e di traffici con la sponda transatlantica. In questo contesto sociale secondo un profilo metodologico sono puntigliosamente riportate le “genealogie” dei principali capi-mafia o personaggi di rispetto che hanno segnato le vicende della mafia in Sicilia e negli Stati Uniti d’America, spesso con un esito sanguinoso nelle lotte per il predominio non solo territoriale. L’Autore non manca di avvertire che "La mafia è uno di quei fenomeni che gli storici sociali dicono embedded, che sono cioè radicati in sfere profonde della società. Le sue attività sono il più delle volte nascoste nelle pieghe di transazioni semi-legittime. Commercia, fa affari, fornisce protezione e servizi in occasione delle elezioni". 

Secondo una tradizione interpretativa, una massa di fonti storiche ci dicono che la forza della mafia sta nell’intreccio tra interno ed esterno, nella fitta rete, avvolgente, in cui le sorti degli affiliati si intrecciano con quelli dei non-affiliati, in una logica di mutua protezione e reciproco interesse. Secondo il sociologo Rocco Sciarrone la forza della mafia risiede solo in parte in caratteri costitutivi interni, ma piuttosto dalle sue "relazioni esterne vale a dire dal capitale sociale che deriva dalla sua capacità di allacciare relazioni e costruire reti sociali" (Ib.), in cui ci possono essere poliziotti, politici, affaristi corrotti, professionisti, consulenti.

L’Autore ha dedicato allo studio delle organizzazioni criminali mafiose in Sicilia ed in America volumi che sono stati punti di riferimento non solo per studiosi ma per un più vasto pubblico, come la sua ​Storia della mafia, ​pubblicato la prima volta nel 1993, che è rimasta per oltre vent’anni uno strumento di conoscenza insostituibile per larghi strati di lettori italiani e stranieri. Era giunto il momento di procedere ad un nuovo sforzo di sintesi dell’intera materia, alla luce sia degli studi passati sia della documentazione e delle testimonianze nel frattempo venute alla conoscenza. Il corposo libro ricostruisce centosessant’anni di storia della mafia, sia di quella siciliana, sia di quella da questa derivata, la mafia americana, cogliendone le interazioni, le interferenze reciproche, ed esamina i conflitti tra le cosche, fazioni e gruppi affaristici in questa dimensione transcontinentale. 

Una costante essenziale della mafia, secondo l’Autore, è quella di definirsi e di essere percepita in stretta correlazione con gli strumenti, le ideologie, le culture delle sfere istituzionali e degli apparati repressivi che l’hanno combattuta con alterne fortune nei diversi periodi della storia del nostro paese. Sotto questo profilo la mafia non si può studiare e neppure capire se non in rapporto con ​l’antimafia​istituzionale e della società civile. Questo legame consente di considerare i successi della mafia e le stesse sue sconfitte come punti di osservazione utili per cogliere la ​grande storia. ​Ciò vale per l’America a proposito dell’emigrazione italiana, del proibizionismo, del New Deal, e ciò vale allo stesso modo per l’Italia di fine ottocento, del fascismo, o del secondo dopoguerra, fino ad arrivare agli anni ottanta e novanta ed alla complessa vicenda che ha portò agli assassini dei giudici Falcone e Borsellino. Il maxiprocesso di Palermo con le sue condanne ed il suo significato segna una delle sconfitte più gravi subite dall’organizzazione criminale mafiosa. Di lì parte una nuova fase, che l’Autore definisce come ​sommersione ​per rinuncia a forme di violenza inabissandosi, che Lupo per la prima volta porta alla luce. Un’altra storia. 

E’ una storia, questa di Salvatore Lupo, che potrebbe essere inserita opportunamente nella programmazione didattica della scuola italiana, per non perdere la memoria come l’Autore richiama nei capitoli finali.

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