Quei j'accuse a Conte da chi vengono?

di Domenico Pizzuti sj


Il rumore è sollevato la scorsa settimana dalle affermazioni di Salvini - in propaganda elettorale permanente - secondo cui il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel precedente governo giallo-verde avrebbe firmato senza la dovuta autorizzazione il documento di riforma del MES (Meccanismo europeo di stabilità), a suo avviso non dandone informazione alle istituzioni competenti e all’opinione pubblica. E avrebbe commesso un reato che richiederebbe le sue dimissioni ora che presiede un nuovo governo. Il fatto si presta a diversi livelli di lettura.

A prima vista si comprende chiaramente che si tratta di propaganda sistematicamente, artificiosamente impostata per sbalzare dalla Presidenza del consiglio Giuseppe Conte e chiedere nuove elezioni al Capo dello Stato. Infatti il fatto, se esiste ed è accertato nelle sedi opportune, appare montato con la definizione di reato del comportamento in sede europea, che arriva all’accusa di tradimento dell’Italia per dare una consistenza a questa accusa. A cui si è accodata senza troppo riflettere la stessa Meloni, arringando su questa panna montata assemblee di FDI.

Oltre a questa costruzione di accuse nei confronti del Presidente Conte per poter minare lo stesso Governo giallo-rosso, Matteo Salvini guarda non solo in alto ma anche in basso agli elettori e simpatizzanti per delegittimare sempre più questo governo con accuse gravi che fanno presa, come quella di supposto “tradimento” del paese. Da questo punto di vista il carico di accuse richiama per certi versi il famoso affaire Alfred Dreyfus, il capitano francese accusato falsamente di tradimento, incarcerato e giudicato dai Tribunali della Repubblica francese, perché si tratta anche nel caso di Salvini di un j’accuse pubblico di tradimento dell’Italia. Non c’è un rimando per accertamento agli organi giudiziari del nostro paese, cioè ad un Tribunale competente ma solo una richiesta roboante di dimissioni dall’incarico, una sanzione da realizzare eventualmente dagli organi competenti, Parlamento e Presidenza della Repubblica.

Il passaggio per accertamenti giudiziari non c’è, perché sono sufficienti le accuse pubbliche del Leader populista, ed i giudizi che bene o male se ne forma il popolo salviniano non direttamente chiamato in caso, e scarsamente informato sulle dinamiche complesse del MES, impressionato invece dalle facili accuse di tradimento di un politico appartenente alla casta da sbalzare. In sintesi si tratta di un j’accuse strumentale per recare danno al Presidente Giuseppe Conte ed al governo che presiede, un pallone da smontare con informazioni veritiere sui fatti al Parlamento ed all’opinione pubblica, come sta facendo in queste ore al Parlamento il Presidente Giuseppe Conte ma il danno è già stato fatto....con buona pace dell’etica della verità (del vero) e della giustizia pur nell’aspro confronto politico.

In questione è anche in questo caso il linguaggio di Matteo Salvini composto di falsità, mezze falsità, mezze verità (parole come palle avvelenate), non solamente strumentali ma che lasciano trasparire malvagità nel confronto con l’avversario/nemico, che fanno pensare ad un orizzonte “nero” che potrebbe capitare sul nostro paese. C’è un ulteriore carattere di questo linguaggio, secondo le analisi di Marco Revelli con Luca Telese nel recentissimo volume Turbopopulismo. La rivolta dei margini e le nuove sfide democratiche, I Solferini, Milano 2019, "l’abbassamento del linguaggio" per sembrare come loro da parte dei c.d. “leader negativi”, una tendenza diffusa nell’approccio con le audience dei “forgotten men”: A questo proposito riportiamo a titolo esemplificativo una delle ultime affermazioni di Matteo Salvini: "Il Mes ruba i poveri per dare ai ricchi. Ruba i soldi dei risparmiatori per finanziare le banche tedesche. Sono i paesi che stanno meglio che dovrebbero aiutare quelli che stanno peggio". E’ chiaro il tentativo di “mimesi” con i suoi interlocutori oggetto di furto dei propri risparmi, secondo i meccanismi perversi del Mes, che non possiamo ignorare per ristabilire la verità dei fatti nell’agone politico o meglio mediatico con prontezza e decisione.

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