Che razza di Gesuiti siamo oggi?


di Domenico Pizzuti sj


Ho letto e riletto - in clausura forzata per il coronavirus - il volume dello storico Gianni La Bella, I Gesuiti. dal Vaticano II a Papa Francesco (Guerini e Associati, 2019). Questo libro, secondo l’Autore, nasce dall’idea di ricostruire le principali vicende che determinano, a partire dal Concilio Vaticano II, la genesi e lo sviluppo di quel lungo e complesso processo di "aggiornamento-rifondazione" dell’ordine, che ne trasforma le finalità e in parte l’identità, e che la maggioranza degli storici concorda nel riconoscere come la configurazione di una "Terza Compagnia".

Il Padre generale Arturo Sosa ha definito quest’opera storica "Una lettura attraente di una tappa cruciale della Chiesa cattolica e della Compagnia di Gesù", che fa rivivere con emozione anche una storia personale, perché alla mia età di novantenne ho vissuto e "sono stato vissuto" da questa storia della Compagnia, nel tentativo di rispondere alle sfide dei tempi che nel cinquantennio preso in esame cambiavano rapidamente a livello geo-politico, di cultura, stili di vita e mentalità, ma anche locale.

Non intendo proporre una seconda recensione di questo volume, affidato alla discussione degli studiosi ma anche a coloro che sono interessati a questa “storia”, ma manifestare alcuni insegnamenti ed interrogativi che mi ha posto a partire dal “Sitz in leben” della mia attuale collocazione a Napoli (in un'infermeria pur essendo guarito ed in una comunità di Gesuiti dedicata all’amministrazione del sacramento della penitenza nella magnifica chiesa barocca del Gesù Nuovo), dopo una mia esperienza quasi ventennale in una comunità apostolica dinamica di inserimento come quella di Scampia di cui sono grato al Signore, ai confratelli, ad amiche e amici, alle madri Rom che mi hanno accolto nella mia permanenza in quel quartiere.

La prima considerazione riguarda i diversi livelli di questa “storia” tuttora in progress, quello della Compagnia universale espresso dalle diverse Congregazioni generali (dalla XXXI alla XXXVI) con le loro discussioni e decreti approvati, che sono la tessitura di questa storia, e dalla Governance centrale dal Beato Pedro Arrupe a Peter Hans Kolvenbach, alla meteora (così definita dall’Autore) Adolfo Nicolàs, ad Arturo Sosa attuale Preposito Generale. Sono fiero di aver condiviso in larga parte gli orientamenti espressi da queste fondamentali istanze della Compagnia universale, che hanno modellato la mia vita e quella di tanti compagni in una “fedeltà creativa”, per dirla con p. Kolvenbach. 

Comprendo anche lo scostamento tra il livello universale di ampie aperture e quello locale, che talvolta mi da l’impressione di un “piccolo mondo antico” anche se fraterno. Il punto fondamentale che va riaffermato è la natura delle Congregazioni Generali, “la più alta istanza legislativa e di governo” (p.346), di cui sento poco parlare, i cui decreti e norme vanno attuati anche a livello locale nella diversità delle situazioni e dinamiche locali, territoriali, etniche, culturali e religiose, per portare in modo onorato il nome di gesuiti e non apparire semplici bravi sacerdoti. E naturalmente anche le disposizioni dei diversi Prepositi Generali, nella responsabilità della Compagnia universale da loro governata, che non sempre a mio parere trovano adeguata attenzione nella vita comunitaria e personale. Altrimenti che gesuiti siamo?

Ad una più ampia considerazione del contesto gesuitico in Italia, senza pretesa di completezza, ho la percezione che come i cristiani in Italia ed in Europa, ci siamo accomodati su un relativo benessere di vita, senza grandi tensioni ideali e volontà di cambiamento delle strutture inique della società. Infatti la missione precisata dalla XXXII Congregazione Generale con il Decreto IV é così definita: "La nostra missione oggi: servizio della fede e promozione della giustizia". Chiosa l’Autore in merito: "Per i gesuiti il legame tra evangelizzazione e promozione della giustizia, servizio alla Chiesa ed all’uomo, non è fittizio e tattico, ma una realtà indissolubile. Salvezza cristiana e liberazione umana coincidono, nella loro espressione concreta: trasformare il mondo rendendolo più vivibile" (p.125). Oggi, anche secondo una certa acquisita consapevolezza civile, significa combattere le enormi disuguaglianze sociali, territoriali, di genere, e generazionali in Italia e nel mondo, che il Covid-19 accentua. 

Con gratitudine ricordo che il P. Provinciale della Provincia Euro-mediterranea ci invitava recentemente con secche parole a "sollecitare la pratica della fede". Sul piano dei modelli si può riscontrare da una parte una certa omogeneizzazione - non solo da parte delle generazioni anziane - ad un modello “presbiterale” dei sacerdoti diocesani, cioè la centralità del sacerdozio su quello religioso e missionario; e dall’altra prevalentemente da parte delle giovani generazioni di gesuiti la riscoperta importante e la declamazione della spiritualità ignaziana, che a nostro parere rischia di essere gratificante. Il dubbio che abbiamo è che questa spiritualità non abbia - per esempio in esercizi spirituali e ritiri - nel nostro contesto incorporato la ricca spiritualità concreta elaborata dalle ultime Congregazioni Generali.

A livello interpretativo, ciò è dovuto a due cause: una più strutturale, perché in Italia i contenuti delle ultime Congregazioni Generali ricordate nel cinquantennio esaminato dal volume non sono state completamente assimilate, non hanno modellato la vita e l’azione apostolica dei gesuiti; e l’altra causa portata avanti da giovani generazioni di gesuiti riguardante la preferenza per l’annuncio diretto del Vangelo più che la prassi (fede e giustizia) in riferimento ad una cultura, specie giovanile, in cui la tradizione cattolica - non più trasmessa dalle famiglie - non è rilevante, significante vitalmente.

In questo contesto bisogna certo rilevare alcuni fatti positivi: un primo strutturale per il rinnovamento e continuità nel tempo della Compagnia di Gesù: l’affidamento di compiti e responsabilità importanti a giovani generazioni; l’altro riguarda la definizione, programmazione, attuazione in corso delle preferenze apostoliche della Provincia Euro-mediterranea. Il periodo post pandemia coronavirus imporrà riflessioni e adattamenti che non si possono ora immaginare. E non va dimenticato tra i fattori positivi il lavoro del Centro Astalli del Jesuit Refugee Service a Roma e in altre località, non per vantarsi ma come segno per tutti i gesuiti di concreta accoglienza a rifugiati e migranti.

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