La chiesa domestica

di Domenico Pizzuti sj



Volevo riprendere l’argomento del comportamento dei sacerdoti (e naturalmente dei religiosi) nella situazione di pandemia e confinamento in casa, che si protrarrà chiese incluse fino al 3 maggio. 
Volevo riprendere questo tema, ma il corso dei miei pensieri ha preso altra direzione. 

La smania (comprensibile) da parte di preti e religiosi di riproporre attraverso video, streaming, Facebook la “Messa”, con tutti i paramenti, e molto più raramente invece la lettura e la spiegazione della Parola di Dio, vista l’assenza fisica e di partecipazione emotiva - una partecipazione mediata appunto dai media -, mi ha portato a riflettere che per la vita della comunità cristiana non è sempre necessaria la presenza fisica del sacerdote. 

Pensiamo alle comunità cristiane amazzoniche, che vivono la loro fede anche se il sacerdote le raggiunge una volta l’anno, per celebrare l’eucarestia ed amministrare il sacramento della riconciliazione. In esse ci sono altri attori religiosi - diaconi, catechisti, religiose e religiosi, volontari - che sostengono la vita cristiana, e la stessa comunità si fa attiva per la preghiera e l’accostamento alla parola di Dio.

Il confinamento in casa per la pandemia offre la possibilità di riscoprire il “protagonismo” delle comunità cristiane e delle stesse famiglie. In merito alla mia proposta di celebrare la Pasqua in famiglia spezzando e benedicendo il pane ed il vino, che rende presente il Signore (perché dove due o tre sono raccolti in mio nome, sono in mezzo a loro), un'amica di Scampia mi scrive: "Ho molto apprezzato le vostre parole in merito alla "comunione" domestica, fino ad ora siamo stati spettatori passivi dei riti, come a teatro, e questo è facile e riesce a tutti, oggi siamo chiamati invece a muoverci in prima persona...in queste contingenze dovremo saper mettere a frutto la nostra fede, e non è cosa facile". 


Si tratta allora di uscire dal comodo clericalismo passivo, e di vivere attivamente il “sacerdozio comune dei fedeli” ricevuto nel Battesimo, ed in mezzo alle ansietà e preoccupazioni del confinamento e alle incertezze del futuro, di riscoprire la famiglia come “chiesa domestica” per la preghiera, la lettura meditativa della Parola di Dio, ed il ministero domestico della benedizione del pane e del vino nella Pasqua del Signore.



Credo che benedire il pane e il vino da parte dei genitori, di una nonna o di un amico, per celebrare la Pasqua del Signore, abbia portato gioia e consolazione con la presenza di Dio. Anche nelle prossime domeniche di confinamento si può pensare di celebrare la domenica, spezzando e benedicendo il pane e il vino alla mensa domestica, una Pasqua in attesa del Suo ritorno, come invochiamo. In questo modo possiamo preparare comunità cristiane attive per il prossimo futuro, di cui le famiglie sono cellule attive, anche perché nel sacramento del Matrimonio i coniugi sono i “ministri”, una ministerialità che continua nella vita familiare, come può accadere nella celebrazione domenicale attorno alla mensa IN NOMINE DOMINI.


Così sia.

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