La comunicazione virtuale del prete

di Domenico Pizzuti sj


Un pensiero, come un diavoletto, gira nella mia mente durante la quarantena: nella pandemia non ancora superata, considerando i diversi attori in scena come appaiono nella comunicazione mediatica, è chiaro che medici, infermieri e personale sanitario si dedicano alla cura dei malati, che ad essi affluiscono nelle strutture; che gli scienziati offrono i risultati delle loro ricerche specifiche sul virus; che amministratori e politici emanano misure per superare l’emergenza sanitaria ed economica sulla base dei suggerimenti di scienziati e tecnici; e che, continuando la risma, “i preti”... che cosa hanno offerto e con che competenze si sono qualificati, al di là di apparire in video con Messe e benedizioni?

In primo luogo come per i medici bisogna ricordare gli oltre 110 preti caduti sul campo, secondo dati della Conferenza Episcopale Italiana. A questo proposito viene in mente la nota poesia “‘A livella” di Totò, perché in una pandemia globale il virus non fa distinzioni di casacca.

In questa inaspettata straordinaria contingenza, per quello che possiamo osservare e conoscere tramite i media, preti e religiosi hanno cercato nuovi linguaggi - in forme talora bizzarre - per migliorare la comunicazione in assenza delle celebrazioni pubbliche. Si sono moltiplicati i video di Messe private senza popolo, con tutti i paramenti per la riconoscibilità dai fedeli e le benedizioni di vario genere. Qui il prete appare come “uomo del rito”, se si vuole del “sacro”, che celebrato in forma virtuale non lascia certo intravedere il “mistero della fede”. Con la mancanza di popolo dovuta ad esigenze di profilassi sociale rimane solo la figura prete celebrante, e non la comunità dei fedeli che solitamente partecipa all’Eucarestia, quindi una visione distorcente della Chiesa che come papa Francesco ha ricordato non esiste senza il popolo di Dio. 

Al di là di altri significati di questa comunicazione virtuale, e delle intenzioni individuali, essa sembra manifestare ai fruitori che “il mondo continua” anche se in questa forma, e ci si fa vicini alle ansie e preoccupazioni delle famiglie. E’ quindi una forma di “rassicurazione” che sociologicamente fa parte delle funzioni delle religioni nelle società. Una forma di comunicazione virtuale del sacro, ci si conceda, “clericale”. 
Altra questione da verificare riguarda il numero effettivo dei fruitori di questi video. 

Pur con queste osservazioni sulla ricerca di nuovi linguaggi da parte di preti, religiosi, aggregazioni ecclesiali, ancora non appare chiaro quale sia la competenza sociale specifica di preti e religiosi, in concorrenza con altri attori, e quale sarà il loro contributo specifico nella società a venire per non essere replicanti di costumi e tradizioni inappropriate nel campo religioso e sociale. 
Un’amica napoletana, sulla base della sua esperienza a contatto con “clericalismo, maschilismo, immaturità affettiva” scriveva: “Possiamo sognare un momento - questo? - in cui all'interno del clero si possa sviluppare una riflessione sulla condizione dei religiosi? Ne guadagnerebbe la Chiesa e l'annuncio del Vangelo!”. 

Iconicamente non si possono trascurare i gesti di papa Francesco, che ha assunto le preoccupazioni della pandemia e le sue varie sofferenze: dal pellegrinaggio al “Crocifisso” miracoloso nella chiesa di San Marcellino, all’invocazione solenne serale sulla piazza vuota di San Pietro, perché il Signore liberi il mondo dal male della pandemia, alla via Crucis notturna con testi preparati dai reclusi di un Istituto penitenziario di Padova, alla benedizione “Urbi ed Orbi” nel giorno di Pasqua. 
Oltre ad apparire come il “Gran Sacerdote” nelle celebrazioni liturgiche nella basilica di San Pietro, con questi gesti ed invocazioni solenni papa Francesco ci appare come un “novello Mosè” sul monte, con le braccia alzate per invocare la liberazione dal male della diffusione globale del coronavirus. 
Il Signore sia con Lui.

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