Non mi candido a Napoli

di Domenico Pizzuti sj


Nel volgere di un anno cambieranno i rappresentanti di due funzioni apicali cittadine, il vescovo della diocesi di Napoli - con molta probabilità per la festa di S. Gennaro dopo il raggiungimento dei limiti di età dell’Arcivescovo Card. Crescenzio Sepe -, ed il Sindaco dell’amministrazione comunale Luigi de Magistris, per le elezioni al Comune partenopeo a giugno 2021. 

Questo cambiamento non è un evento di ordinaria amministrazione, arrivando dopo l’emergenza Covid-19 e nell'emergenza sociale della vita di tante famiglie della città e dell’entroterra. Le esigenze di ripresa economica e di ricostituzione delle relazioni sociali sono evidenti dopo il lockdown della prima fase della pandemia. 

Riteniamo che i rappresentanti di queste funzioni saranno chiamati ad essere dei “nocchieri” per indicare e guidare il cammino di questa estesa conurbazione napoletana e diocesana, per le esigenze evidenti di discontinuità dalle due amministrazioni civile e religiosa, ed un’auspicabile partecipazione civica e religiosa dei cittadini e fedeli napoletani.

E’ chiaro, e non solo per celia, che per ragioni non solo di età non mi candido a vescovo della chiesa napoletana, e neanche a sindaco del comune cittadino; lasciamo ad altri queste ambizioni di affermazione. Non ci soffermiamo dunque sulle prossime elezioni amministrative, ci auguriamo solo che non si ripeta un accrocchio di vecchie cariatidi politiche a sostegno di qualche lista centrista o di destra, come avvenuto per la regione Campania, ed una discontinuità di età e di genere in una lista democratica e progressista. 

Serve soprattutto un sussulto di idee e proposte, non tanto o solo da parte della società civile assopita, ma del mondo associativo, delle forze vive che hanno dato prova di solidarietà ed efficienza in risposta ai bisogni elementari di fasce deboli della popolazione prive di reddito nella prima fase della pandemia ed anche oltre.

Naturalmente, riteniamo di non poco rilievo la nomina del prossimo vescovo della diocesi napoletana, chiamato ad indicare e guidare il cammino ai fedeli in questo mare della religione ambientale o “religione di chiesa”, secondo una categoria sociologica, per avviare ad una “pratica della fede cristiana” - al di là quella locale spesso segnata da cultualismo e devozionalismo rassicurante. 

Si tratta di segnare un passaggio da un “cattolicesimo meridionale” ad un “cristianesimo meridionale” degno di migliori tradizioni storiche di santi e fedeli colti, secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II e del rinnovamento della vita cristiana nel magistero pastorale di papa Francesco. 

Si comprende allora che la riapertura delle chiese per una celebrazione in sicurezza, come pratica non è una soluzione ma un aggiustamento funzionale, che nulla ha a che vedere con il “Sacro” comunque inteso. In questa luce proponiamo alcune indicazioni non scontate per il prossimo vescovo:

1. Riportare al centro della vita della chiesa il laicato cristiano adulto, secondo la categoria di “popolo di Dio” elaborata dal Concilio Vaticano II, oscurata dalla visibilità straripante negli stessi media del prete maschio, celebrante in solitudine, in video o in chiesa, e da un cortocircuito tra chiesa e sacerdote nella stessa mentalità dei fedeli, poco acculturati. Per definizione la “chiesa” è un’assemblea o agorà dei credenti, per la celebrazione dei misteri della fede, al cui servizio è il sacerdote in una visione circolare dei partecipanti.

2. In questa visione comunitaria e circolare della comunità cristiana ha spiegazione e senso la “promozione della donna” sia in responsabilità funzionali dell’istituzione ecclesiastica sia nelle pratiche dello stesso culto cristiano - cioè di donne all’altare rivestite di diaconato e/o sacerdozio -, che non è un optional anche se una meta ancora da implementare. E’ una “battaglia di civiltà” non disgiunta da quella nella società.

3. Si evidenzia infine che occorre una formazione permanente dello stesso clero diocesano per avere gli strumenti per affrontare le sfide del mondo post-moderno con “una chiesa in uscita” come richiesto da papa Francesco. E lasciare il posto che conviene a laici e donne secondo la loro vocazione nel mondo e nella chiesa.

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