Chi giudica il Capoccia?

di Domenico Pizzuti sj


La maratona oratoria leghista di tre giorni a Catania, con la partecipazione dei big del Centro-destra sotto le insegne anti-giudici, in concomitanza con l’udienza del processo a carico di Matteo Salvini per la nave Gregoretti (detenzione in mare di immigrati in spregio delle leggi del mare ed internazionali), non è solo un’operazione mediatica o propagandistica in solidarietà con il leader leghista, all’epoca Ministro dell’interno della Repubblica Italiana che riteneva per scopi populistici di possedere pieni poteri, ma a nostro avviso pone delle domande ineludibili per non lasciarsi impressionare dalla risonanza della manifestazione leghista.

In primo luogo, da cittadino di questa Repubblica con la classica divisione dei poteri (legislativo, esecutivo, giurisdizionale), si pone la domanda se il Matteo Salvini ed i suoi corifei riconoscono il potere giurisdizionale della Magistratura autonoma dagli altri due poteri, perché in fondo risuona la canzone “nessuno mi può giudicare”, avendo affermato "E’ chiaro che non c’è un reato nel mio caso, saranno gli italiani alle prossime elezioni a dire se Salvini ha fatto bene o male". 

E’ il classico richiamo populistico all’unico giudizio del popolo, anche se tramite le prossime elezioni, che sono ancora lontane. E’ chiaro il disconoscimento di un potere dello Stato, che non perseguita ma accerta reati commessi anche in funzioni istituzionali. Non c’è per principio impunità di alcuno in un giusto processo, come insegna papa Francesco nella vicenda del Card. Angelo Becciu. Dispiace che in questa manifestazione propagandistica si allineino i rappresentanti di Fratelli d’Italia e Forza Italia, pur di salire all’attenzione su un palco nella Dogana di Catania, non contribuendo per scopi di consenso a legittimare e consolidare le istituzioni repubblicane.

In secondo luogo, è chiaro che in questa presentazione al Processo a suo carico, da parte di Salvini non c’è alcun pentimento di un reato che la Magistratura accerterà non per partito preso o influssi politici, considerata sempre ostile e parziale, se si vuole persecutoria a proprio danno. Avendo a suo dire “difeso i confini della Patria” da ipotetiche invasioni del territorio nazionale.

E’ chiaro in questa vicenda, e nell’intera propaganda salviniana lungo le regioni della penisola, la trama dell’impostazione populistica di Matteo Salvini con il disconoscimento di poteri dello Stato, che non ci stancheremo di denunciare per il pericolo alle Istituzioni repubblicane, perchè non si tratta di folclore da parte di un lombardo leghista con la sua quotidiana propaganda, che è da temere secondo l’antico adagio, “Timeo Salvini et dona ferentes” per la delineazione di un regime populistico da instaurare nella nostra penisola.

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