Lettera aperta al nuovo provinciale dei Gesuiti

di Domenico Pizzuti sj


Caro padre Roberto Del Riccio,
nel momento in cui ufficialmente assumi questo servizio di Provinciale della Provincia Euro-mediterranea, comprendente l’Italia, l’Albania, Malta e la Romania, in data 27 dicembre 2020, dal mio osservatorio mi permetto di segnalare per il tuo nuovo incarico tre punti della vita dei Gesuiti di questa provincia degni di attenzione e governance.

Primo: Risveglio e Recovery. In questi ultimi anni mi sono reso conto che non sempre i decreti delle Ultime Congregazioni Generali, dalla XXXI alla XXXVI, suprema istanza normativa per la vita e la missione della Compagnia di Gesù nel mondo, sono conosciuti, assimilati ed attualizzati ai vari livelli locali, modellando la nostra vita e missione apostolica. 
Forse come dice per celia un mio confratello “non li hanno letti”. Sulla base di un “risveglio” di attenzione, si tratta di operare un “recovery”, una ripresa della lettera e dello spirito di questi documenti elaborati nel corso di un cinquantennio e più. Secondo lo storico Gianni La Bella, è un periodo che a partire dal Concilio Vaticano II ha visto “la genesi e lo sviluppo di quel lungo e complesso processo di aggiornamento-rifondazione dell’ordine che ne trasforma le finalità, e in parte l’identità, e che la maggioranza degli storici concorda nel riconoscere come la configurazione di una Terza Compagnia”. (I Gesuiti dal Vaticano II a papa Francesco, Guerini e Associati, Milano 2019). 
Si tratta di uno scrigno prezioso da riaprire perché delinea una missione attuale ed esaltante della Compagnia di Gesù, come impegno per la “promozione della fede e della giustizia, della cultura e del dialogo con le altre religioni” per operare la “riconciliazione” degli uomini e dei popoli. 
In Italia, a quale Compagnia apparteniamo nel ventunesimo secolo, prima, seconda o terza, per ritardi e resistenze?

Secondo: Presenza alle città. Ritengo importante allargare l’orizzonte delle nostre attività apostoliche a livello locale, superando il particolarismo delle nostre attività, e comprendere l’attenzione, conoscenza ed elaborazione delle realtà cittadine in cui siamo presenti per un contributo alla realizzazione della giustizia sociale, a partire dagli emarginati e dalle minoranze cui talora sono disconosciuti i diritti, alla riconciliazione delle famiglie e dei gruppi umani. 
Ritengo che questo faccia parte della storia della tradizione della Compagnia di Gesù, che ha sempre avuto attenzione ai popoli e alle città cui si rivolgeva, al di là di specifiche attività. Ed è stata ed è nel complesso, la Compagnia di Gesù, una realtà urbana. 
Si richiede non solo attenzione e conoscenza, ma anche amore alle città a cui i nostri primi padri si rivolgevano nel loro peregrinare, pregando per esempio per il loro angelo. Mi permetto di sottolineare un’attenzione al “polo napoletano” con le sue benemerite attività culturali e religiose, per una più incisiva presenza ai problemi di questa area metropolitana che comprende circa tre milioni di persone.

Terzo: Comunità in uscita. Conseguentemente per le nostre comunità territoriali, al di là di una illuminata e robusta pratica di fede, si tratta di configurarsi come “comunità in uscita” da chiese o confortevoli residenze per anziani, cioè “comunità in missione” sul territorio. 
Non posso non rilevare i residui di un modello di vita religiosa “presbiterale” se non clericale, che ha imperato nell’Ottocento e parte del Novecento, che ruota intorno alla celebrazione di Messe in chiese o comunità, ed una recente omogeneizzazione al clero diocesano; dovremmo sposare invece il modello di vita religiosa proposto come delineato dalle ultime Congregazioni Generali con i loro decreti e documenti, per non essere ed apparire solo dei buoni sacerdoti che vivono in comunità in una enclave sul territorio. 
Come sottolineavi nella tua prima intervista a GesuitiNews, la tua funzione di Superiore si rivolge ad un corpo apostolico, e non a tante monadi che svolgono attività personali o private (come si possono definire, a mio parere), ma partecipe di una comune missione o opera di una comunità e vivere come “amici nel Signore”.

Non ultimo, se veramente dovessi dare un’indicazione, preme elevare diffusamente il livello culturale dei gesuiti operatori pastorali e sociali, e dei laici loro collaboratori (a partire da una predicazione “colta”), in sintonia con coloro che si dedicano agli studi teologici o sociali in un mondo complesso ed in cambiamento.

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