Il Comune di Napoli deve mettere in agenda la questione Rom

di Domenico Pizzuti sj

In una recente intervista, a cura di Ilaria Urbani, lo scrittore ed editore di successo di Scampia Esposito Rosario La Rossa ha affermato convintamente che "Oggi Scampia ha cambiato volto, non è Gomorra" della omonima fiction televisiva (La Repubblica Napoli, 21 novembre 2021). Conveniamo per conoscenza ed esperienza diretta che Scampia è ormai una realtà urbana, un pezzo di città che accoglie anche importanti sedi universitarie ed interessanti iniziative culturali frutto della creatività di associazioni e singoli del territorio.

Di fronte a questo riscatto dell’immagine del quartiere, nel contempo non possiamo non richiamare da una parte la persistenza quasi quarantennale - o “cristallizzazione nel tempo” - del campo Rom di via Cupa Perillo e dall’altra del campo comunale della Circonvallazione esterna di Secondigliano abitato da 400 Rom dagli anni 2000 in stato di abbandono. Secondo un censimento a cura della Procura della Repubblica di Napoli dello scorso agosto il campo di Cupa Perillo nelle sue tre aree è attualmente abitato da 300 Rom, 75 famiglie con almeno 150 minori. Chi lo visita e frequenta si rende conto che si tratta di un’autentica “baraccopoli” per le condizioni precarie delle abitazioni, di un territorio devastato dal furioso incendio del 23 agosto 2017 anche se in parte bonificato.

Per sovvenire alle necessità familiari è praticata una “economia di sopravvivenza” basata sulla raccolta di rifiuti ferrosi da parte delle donne e di attività legali, semilegali ed illegali da parte degli uomini. Negli ultimi decenni si è sviluppata una importante interazione degli abitanti del campo con il quartiere per i bisogni di sopravvivenza e con le istituzioni locali educative, sanitarie, assistenziali. Bisogna anche registrare una diffusa frequenza scolastica dei figli delle famiglie del campo, anche se non duratura nei diversi stadi, favorita dalle istituzioni e dalle associazioni e centri di formazione con iniziative di sostegno. (Vedi Domenico Pizzuti, I Rom di Scampia, in "La Critica Sociologica" Llll , 209, 2019, pp. 67-74).

E’ una condizione diffusa di precarietà, degrado ed abbandono, o se si vuole di marginalità territoriale e sociale, anche per la mancanza ultimamente di progetti di superamento della cristallizzazione della sistemazione in campi dei Rom abitanti, con soluzioni abitative alternative da parte del Comune napoletano. Possiamo anche affermare questa aggregazione umana di Rom di provenienza slava, fa parte dell’immagine del quartiere al di là della strada ma richiede la messa in atto di efficaci percorsi di inclusione sociale per il riconoscimento di condizioni più umane di vita e dei diritti delle popolazioni Rom secondo le direttive delle istituzioni europee e nazionali.

La persistenza, le precarie condizioni di vita di questo e simili campi e la mancanza di alternative reali all’orizzonte, è un aspetto della “questione Rom” a Napoli. Nel territorio metropolitano si contano circa 2000 Rom, distribuiti in campi ufficiali, comunali, e campi c.d. spontanei, e più fortunati in alloggi in affitto nel centro città che talora abbiamo incontrato. E’ opportuno richiamare che la competenza per la “Questione Rom” ed i provvedimenti relativi spettano all’Ente comunale secondo la “Strategia nazionale d’Inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti, 2012-2020”, poco attuata nel nostro paese, che si farebbe bene a riprendere in mano da parte di decisori pubblici ed operatori volontari associati o singoli. Per l’attuazione di questi compiti istituzionali, è stato preparata ed in osservazione la bozza definitiva del PAL (“Piano di Azione Locale per l’inclusione e la partecipazione delle comunità Rom, Sinti e Camminanti della città di Napoli”) richiesta al Comune da progetti europei, anche se ci consta che non sia stata approvata dalla Giunta comunale precedente. 

Chiaramente i problemi citati della condizione dei Rom nei campi non si risolvono né con sgomberi forzati senza alternative, né con incendi gratuiti e distruttivi da parte di gruppi ostili nascosti che rimangono quasi sempre impuniti, come l’ultimo del campo di Barra, abitato da pacifiche famiglie rom, dello scorso agosto, né da un assistenzialismo (talora necessario) di bisogni immediati ma senza una visione. Alla luce delle strategie citate si tratta dagli assessorati competenti del Comune di por mano a percorsi non utopici ma efficaci di inclusione sociale dei Rom del territorio comunale, lungo le linee dei quattro assi (Istruzione, sanità, lavoro, abitazioni) della Strategia nazionale d’Inclusione dei Rom, dei Sinti e Camminanti che da anni attendono di essere implementati. 

A tale scopo occorre valorizzare tutte le conoscenze, esperienze, competenze esistenti, a partire da quelle degli uffici comunali addetti, di studiosi ed esperti di queste materie, e di quelle accumulate e disponibili di associazioni, gruppi, comitati, operatori sociali volontari e di soggetti religiosi del territorio. E consultare universalisticamente tutti i gruppi e le realtà operanti senza dimenticare gli stessi stakeholders cioè i rappresentanti delle famiglie Rom interessate, nel ricordo di affollate assemblee di tutti i gruppi interessati in aule di Palazzo San Giacomo. Al fine di una programmazione credibile di interventi di inclusione sociale dei Rom residenti sul territorio napoletano. Occorre mettere in agenda della nuova Giunta comunale e dell’Assessorato alle politiche sociali, sensibili alle situazioni periferiche e marginali del territorio, la realizzazione progressiva di superamento delle condizioni di vita e della stessa sistemazione forzata in campi delle popolazioni Rom del territorio. 

Non si tratta solo di una emergenza umanitaria, di una questione sociale che interroga, ma di un riconoscimento dei diritti inevasi di questa minoranza fatta di donne, uomini e bambini secondo le richieste reiterate della stessa Unione Europea, perché non rimangano “scarti” secondo la terminologia di papa Francesco. Alla luce anche di una tradizione meridionale di economia e politica civile.

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