Un Natale povero e per i poveri

di Domenico Pizzuti sj



A Natale, prendendo un aperitivo con i miei confratelli prima del pranzo natalizio, il discorso si è portato sulla splendida omelia pronunciata da papa Francesco nella notte di Natale. Omelia accolta dai miei compagni gesuiti con compiacimento ed entusiasmo, quasi come se per i suoi contenuti particolari delineasse uno spostamento di asse della tradizionale narrazione cristiana.
Forse erano rimasti impressi la meditazione a cogliere nella nascita umana di Gesù la grandezza (divina) nella piccolezza di un bimbo, e soprattutto l’invito chiaro e deciso "ad abbracciare Gesù nei piccoli di oggi. Amarlo, cioè, negli ultimi, servirlo nei poveri. Sono loro i più simili a Gesù, nato povero".

Sono andato rileggere questo testo che, pur nell’unità di meditazione, comprende due aspetti tra loro collegati: la grandezza nella piccolezza del nato figlio di Maria, e l’invito a servirlo ed amarlo nei poveri senza attenuazioni proposto ai cristiani ed agli uomini di oggi. Una sorta di mandato da onorare proposto quasi come un novello Mosè che non solo intercede presso il Padre per la liberazione dall’impatto di una epidemia globale, ma indica la Parola da custodire e vivere anche nella nostra epoca. E’ negli ultimi, nei poveri che "Lui vuole essere onorato. In questa notte di amore un unico timore ci assalga: ferire l’amore di Dio, ferirlo disprezzando i poveri con la nostra indifferenza. Sono i prediletti di Gesù, che ci accoglieranno un giorno in Cielo. Una poetessa ha scritto: «Chi non ha trovato il Cielo quaggiù lo mancherà lassù» (E. Dickinson, Poems, P96-17). Non perdiamo di vista il Cielo, prendiamoci cura di Gesù adesso, accarezzandolo nei bisognosi, perché in loro si è identificato".

Questi poveri poi sono identificati nei pastori, i dimenticati delle periferie, la cui vita dipendeva dal gregge che accudivano. "E Gesù nasce lì, vicino a loro, vicino ai dimenticati delle periferie. Viene dove la dignità dell’uomo è messa alla prova. Viene a nobilitare gli esclusi e si rivela anzitutto a loro: non a personaggi colti e importanti, ma a gente povera che lavorava. Dio stanotte viene a colmare di dignità la durezza del lavoro. Ci ricorda quanto è importante dare dignità all’uomo con il lavoro, ma anche dare dignità al lavoro dell’uomo, perché l’uomo è signore e non schiavo del lavoro. Nel giorno della Vita ripetiamo: basta morti sul lavoro! E impegniamoci per questo". 

E nella benedizione urbi et orbe invoca "Figlio di Dio, conforta le vittime della violenza nei confronti delle donne che dilaga in questo tempo di pandemia. Offri speranza ai bambini e agli adolescenti fatti oggetto di bullismo e di abusi. Da’ consolazione e affetto agli anziani, soprattutto a quelli più soli. Dona serenità e unità alle famiglie". Ed invoca il Bambino di Betlemme: "consenti di fare presto ritorno a casa ai tanti prigionieri di guerra, civili e militari, dei recenti conflitti, e a quanti sono incarcerati per ragioni politiche. Non ci lasciare indifferenti di fronte al dramma dei migranti, dei profughi e dei rifugiati. I loro occhi ci chiedono di non girarci dall’altra parte, di non rinnegare l’umanità che ci accomuna, di fare nostre le loro storie e di non dimenticare i loro drammi".

Che si tratti di un ribaltamento dei criteri sociali di identificazione e classificazione è chiaro e di una robusta sveglia alle chiese ed ai cristiani ad amare, servire, onorare i poveri e la loro dignità, altrettanto. E’ anche un ribaltamento di un sacro rituale che gratifica e giustifica, per accogliere l’umanità debole e povera delle nostre città in cui Gesù si identifica. E quindi di celebrazioni religiose che si consumano in se stesse e non incontrano Gesù nelle persone dei poveri da abbracciare, servire ed onorare.

Commenti

Più letti