Icone di Gesù tra sacrificio, oppressione e riscatto

di Domenico Pizzuti sj

In questa settimana dedicata liturgicamente alla commemorazione della Passione di Gesù di Nazareth che ha avuto conclusione con la celebrazione della domenica della Resurrezione di Gesù secondo la tradizione della fede cristiana, riflettevo sulle Icone di Gesù Cristo proposte non solo ai fedeli ancora in questo ventiduesimo secolo e che ci hanno accompagnato fin dalla nascita nell’ambiente di vita. Esse si riferiscono diversamente secondo le varie tradizioni delle chiese e comunità cristiane al “Gesù crocifisso” ed al “Gesù Signore della gloria” o “Cristo Pantocratore” Signore e giudice finale di tutte le cose create, raffigurato nei mosaici che decorano l’abside delle più grandi chiese ortodosse come nella basilica di Santa Sofia di Costantinopoli e nelle chiese arabo-normanno siciliane e nelle chiese ravennate. Di fronte specialmente all’ Icona del Crocifisso cristiano che ci supera e domina nell’Occidente per la “narrazione cristiana” diversamente viva tuttora, non pretendiamo di svolgere richiami ed approfondimenti biblici, teologici, liturgici, storico-antropologici, sociologici, psicologici, letterari ed artistici che non esauriscono il significato di questa Icona.

La fondamentale osservazione riguarda la permanenza ed assunzione di questo segno lungo due millenni nell’ambito di paesi e culture occidentali in riferimento alla presenza, diffusione, vitalità o meno del Cristianesimo e/o cattolicesimo, che ha influenzato nei secoli la vita personale, sociale, religiosa dei popoli. Con una pluralità di significati per i potenti civili e religiosi e i deboli, di legittimazione del potere per gli uni o di accettazione della sofferenza e dell’umiliazione sociale ingiusta talora in vista di un riscatto ultramondano.

Occorre riflettere sul significato sociale lungo i secoli di questa Icona cristiana: donazione di significato personale a vicende e sofferenze personali e sociali, riscatto sociale da ingiustizie e umiliazioni sociali, oppressione giustificata da una partecipazione alla croce di Cristo che non contribuiva alla liberazione umana. La domanda seria che si pone per questa Icona sacra nella “narrazione cristiana”: visione religiosa accreditata dalla scrittura sacra dell’Antico e Nuovo Testamento, dalla rivelazione cristiana reinterpretata nel tempo dalla comunità dei credenti nelle varie chiese, una sorta di ideologia religiosa, un archetipo che ha modellato la vita personale e sociale?

Nell’attualità segnata dalla guerra in Europa per l’aggressione ingiusta della Russia alla nazione dell’Ucraina, insieme a morti, violenze, distruzione di vite umane e devastazioni di abitati ed attività sociali, non può non colpire ed interrogare nei video trasmessi quotidianamente le rozze croci di due legni sui corpi sepolti delle vIttime militari e civili che restituiscono nome e dignità ai defunti. Vale per quanto riguarda specialmente la tragedia dell’Ucraina l’affermazione dell’omelia del Card. Bassetti nella Domenica delle Palme “Dio è un Padre geloso, chiederà conto a tutti delle sue creature” Completa questa breve nota su un Icona sacra la raffigurazione del Cristo come “Pantocrator”, del Cristo re della gloria, perchè altrimenti la “narrazione cristiana” sarebbe monca e non assume tutto il mistero cristiano non esauribile nella morte redentrice di Cristo.

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